giovedì 22 ottobre 2020
Prorogato ufficialmente per altri due anni l’Accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi in Cina entrato in vigore il 22 ottobre di due anni fa
Una processione di fedeli cattolici nel provincia di Shanxi, nel nordovest della Cina (3 maggio 2013)

Una processione di fedeli cattolici nel provincia di Shanxi, nel nordovest della Cina (3 maggio 2013) - Ansa

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«Le due Parti hanno concordato di prorogare la fase attuativa sperimentale dell’Accordo Provvisorio per altri due anni». Così sì è stabilito tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese in merito all’Accordo sulla nomina dei vescovi stipulato a Pechino il 22 settembre 2018 ed entrato in vigore un mese dopo, giusto il 22 ottobre di due anni fa.

Ne ha dato comunicazione ufficiale alle ore 12 la Santa Sede e lo stesso ha fatto Pechino in un comunicato disgiunto ma concordato. La Santa Sede – è scritto nel bollettino diffuso dalla Sala Stampa vaticana – ritenendo che è stato positivo l’avvio dell’applicazione dell’Accordo di fondamentale valore ecclesiale e pastorale, «è intenzionata a proseguire il dialogo aperto e costruttivo per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese». E questo «grazie alla buona comunicazione e collaborazione tra le Parti».

L’Accordo Provvisorio, il cui testo di diverse pagine, data la sua natura sperimentale, è stato consensualmente mantenuto riservato, è frutto di un lungo dialogo.

Il cardinale Parolin ha sottolineato più volte che l’attuale dialogo tra Santa Sede e Cina ha radici antiche ed è la continuazione di un cammino iniziato molto tempo fa e portato avanti dagli ultimi papi. Che hanno cercato ciò che papa Benedetto XVI ha indicato come il superamento di una «pesante situazione di malintesi e di incomprensione», che «non giova né alle Autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina».

E sulla positiva riuscita anche di quest’ultima intesa per la proroga dell’Accordo si era si già pronunciato lo stesso cardinale Parolin evidenziando come la decisione di continuare sia stata presa in questi giorni di ottobre a seguito «di continui contatti reciproci» nonostante le difficoltà dovute al Covid che hanno impedito di viaggiare.

Il passo compiuto ha sbaragliato il campo dalle interpretazioni che hanno agitato e intorpidito le acque sul suo esito e le sue finalità. Si tratta di un passo avanti oggettivo e chiaro nel solco del dialogo intercorso in questi ultimi anni tra rappresentanti del governo cinese e la Santa Sede e di rilevanza nevralgica. Rilevanza che proprio in questi frangenti è stata posta continuamente sotto tiro per sviarne e offuscarne mediaticamente la portata.

Sull’Accordo, infatti, si sono addensate le aspettative di partite che esulano dagli obiettivi e dalla finalità della Santa Sede e, come è stato osservato, sono sorti molti malintesi nati dall’attribuzione all’Accordo di obiettivi che esso non ha, o dalla riconduzione all’Accordo di eventi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina che sono ad esso estranei, oppure a collegamenti con questioni politiche che nulla hanno a che vedere con l’Accordo stesso.

Ma, come ha ricordato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, annunciando la proroga concordata dell’Accordo, questo non riguarda relazioni diplomatiche e né ha in previsione lo stabilimento di rapporti diplomatici. L’Accordo riguarda la situazione della Chiesa, «un punto specifico che sono le nomine dei vescovi e le difficoltà che ci sono e che noi speriamo con il dialogo di affrontare».

«Da parte di alcuni settori della politica internazionale si è infatti cercato di analizzare l’operato della Santa Sede prevalentemente secondo un’ermeneutica geopolitica. Ma per la Santa Sede – è stato spiegato – si tratta di una questione profondamente ecclesiologica, in conformità a due principi così esplicitati: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Sant’Ambrogio) e “Ubi episcopus, ibi Ecclesia” (Sant’Ignazio di Antiochia)».

Lo scopo principale dell’Accordo Provvisorio è quello di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa. I motivi principali, infatti, che hanno guidato la Santa Sede in questo processo, in dialogo con il governo cinese, «sono fondamentalmente di natura ecclesiologica e pastorale».

Sulla linea seguita dalla Santa Sede infatti non ci sono misteri. È già tutta espressa nel Messaggio di Papa Francesco del 26 settembre 2018 diretto ai cattolici della Repubblica popolare nel quale sono spiegate le ragioni dell’Accordo provvisorio siglato dalla Santa Sede e dalla Cina sulle nomine episcopali. Nel Messaggio, il Papa aveva subito messo in chiaro che l’Accordo è maturato nel solco di un lungo dialogo. E proprio in quel Messaggio diffuso dal Papa subito dopo la firma dell’intesa è manifesta la lettura puntuale di ciò che la Santa Sede sta facendo in questo momento. Esprime infatti lo sguardo che il Vaticano ha sulle vicende del cattolicesimo cinese e sui rapporti con le autorità politiche della Cina continentale. Il Papa lì ha dato dei criteri di operatività e l’atteggiamento di fondo per aiutare a percorrere la strada che si ha davanti. Una strada che non era scontata, se si tiene conto del fatto che Pechino tratta le questioni relative alle diverse comunità di fede come una questione di politica interna e non vuole interferenze di alcun tipo. In questi due anni non ci sono state comunque ordinazioni illegittime.

Le nuove ordinazioni sono state tutte compiute in piena e legittima comunione gerarchica con il Papa. «Abbiamo avuto risultati principali come il fatto che tutti i vescovi in Cina oggi sono in comunione con il Papa. Non ci sono più vescovi illegittimi, questo mi sembra un passo in avanti notevole» ha affermato il cardinale Parolin.

La situazione in Cina dalla Lettera di Benedetto XVI ai cattolici in Cina del 2007 è oggi cambiata. Il quadro è cambiato. Se infatti oggi in Cina viene riconosciuto il ruolo del Papa nel processo di nomina dei vescovi questo vuol dire che viene tolto ogni sospetto che in Cina si voglia far nascere una Chiesa separata e diversa dalla Chiesa di Roma.

Dopo la sigla dell’Accordo, il 30 giugno del 2019 sono stati pubblicati anche gli Orientamenti pastorali della Santa Sede riguardo la registrazione civile del clero in Cina e l’elemento di novità di quel testo orientativo è che la parola «indipendenza» della Chiesa in Cina non significa più «separazione». La stipulazione dell’Accordo e ora la sua proroga ad experimentum sono dunque non solo il punto di arrivo di un lungo cammino intrapreso dalla Santa Sede e dalla Repubblica Popolare Cinese, ma anche e soprattutto il punto partenza per più ampie intese nell’obiettivo principale che, come ha spiegato Parolin, è l’unità della Chiesa.

«E da qui si tratta di ripartire per poi, passo dopo passo, ritrovare una normalizzazione della Chiesa in Cina» aiutando «i cattolici cinesi, a lungo divisi, a dare segnali di riconciliazione, di collaborazione e di unità per un rinnovato e più efficace annuncio del Vangelo in Cina».

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