sabato 7 dicembre 2019
La giovane non aveva voluto parlare a nessuno della notte di un anno fa in cui soccorse gli amici feriti nella discoteca. Finalmente, davanti ai suoi coetanei, è uscita dalla sua "prigione mentale"
La giovane sopravvissuta di Corinaldo parla davanti ai suoi coetanei

La giovane sopravvissuta di Corinaldo parla davanti ai suoi coetanei

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Il faro del Comune di Corinaldo, nel pomeriggio, si è acceso su piazza del Terreno, nella quale chiunque, fino all’alba, può lasciare una preghiera, una parola, un pensiero, un ricordo, di quella notte. Il vero faro, però, si è forse acceso in mattinata, nella scuola di Senigallia frequentata da Mia (nome di fantasia) una ragazza che quella sera, alla Lanterna Azzurra, c’era, costretta a muoversi sopra il tappeto umano calpestando l’orrore. Anche lei ha fatto quello che tanti altri hanno cercato di fare: caricarsi sulle spalle corpi di altri ragazzi trascinandoli verso le ambulanze, come fossero sacchi di cemento. Ha fatto così fino a quando ha potuto. Poi il buio. Per quindici giorni è rimasta chiusa nella sua stanza senza parlare, poche lacrime e il senso dell’orrore appiccicato addosso, come uno strato di colla. Con il tempo le cose sono migliorate, ma di poco. L’incubo era sempre lì. Bloccata. Un’altra vita.

Qualche giorno fa succede una cosa che comincia a sbloccarla. Partecipa a un incontro, a scuola, al quale interviene Luca Pagliari, giornalista senigalliese che da anni gira le scuole curando progetti educativi. Un professionista, un padre, che riesce ad arrivare dritto al cuore dei ragazzi. “Al termine – racconta Luca – questa ragazza mi consegna un biglietto scritto con una calligrafia precisa e rotonda: “La vita è fuori da una cella 2x3. Rinchiusa nella mia prigione mentale, gli occhi sono le finestre da cui guardo il mondo bruciare”. Parole pesanti cadute su un foglio. I due si parlano, lei comincia a liberarsi, come non era riuscita a fare neanche davanti a un plotone di psicologi. Luca racconta di averle chiesto a bruciapelo se fosse stata disposta ad accompagnarlo all’ITIS “Volterra”, a Torrette di Ancona, la scuola di un suo amico scomparso, Daniele. Davanti al suo timido sì, la necessità di parlare con il papà di Mia, giustamente spaventato all’idea di “consegnare” sua figlia nelle mani di un giornalista.

Stamattina, il piccolo miracolo, che è riuscito a superare il divieto di accesso ai suoi ricordi. A Torrette, l’aula magna è strapiena. Ci sono i compagni di classe, gli insegnanti, e soprattutto, in prima fila, i familiari di Daniele. È lì che si siede Mia. Per un’ora e mezzo si alternano persone che mettono il cuore davanti a tutto. Poche parole ad effetto e tanta autenticità. Arrivano le undici, siamo arrivati quasi al termine. In quel momento Mia, dopo un anno, decide di mettere il cuore oltre l’ostacolo, evadendo finalmente da quella prigione nera e lercia. Alza la mano, abbandona la sedia, prende il microfono e guardando la platea comincia a parlare.

“Non è una testimonianza, dice Luca. È una liberazione. Non ci risparmia un solo dettaglio perché esattamente dopo un anno è arrivato il momento di fare piazza pulita. Racconta, a tratti prende pause, scendono le lacrime ma oramai è fatta. Il dolore è stanato, preso a calci e lanciato lontano. Nei momenti più duri della narrazione si aggrappa a quel suo filo di voce ma non molla, esattamente come quella sera quando trasportava corpi all’esterno di un magazzino travestito da discoteca.

Mia finisce di parlare, è spossata, viene coccolata, i ragazzi l’abbracciano, una docente le dice “sei il nostro regalo di oggi”. Anche lei si è fatta un regalo grande e confida: “Mi sono finalmente liberata. Ce l’ho fatta. Mi viene anche da sorridere, incredibile ma rido”. Così Mia torna dal papà che per una volta può ricredersi, rispetto al suo dubbio, perché oggi torna, in famiglia, una figlia ritrovata.

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