martedì 31 gennaio 2017
Il neuroscienziato: nel mio nuovo libro dalle sensazioni corporee alla cultura. A Trieste lo studioso che ha rivoluzionato il modo di intendere il rapporto tra razionalità e affetti
Antonio Damasio

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Oggi l'omaggio alla Sissa

Antonio Damasio, 72 anni, è tra gli studiosi più citati e influenti nel campo delle scienze biomediche. La Scuola internazionale superiore di Studi avanzati (Sissa) di Trieste gli conferisce oggi (via Bonomea 265, ore 10) il Phd in Neuroscienze cognitive honoris causa. Lo scienziato portoghese riceverà il dottorato perché la Sissa è un centro di ricerca universitario d’eccellenza che conferisce solo titoli post-laurea. Oggi ha 280 studenti, il 35% stranieri, e 70 docenti nelle tre aree: fisica, matematica e neuroscienze. «Abbiamo voluto premiare Damasio per la sua doppia valenza – spiega il direttore della Sissa, Stefano Ruffo –. Primo: per i suoi contributi scientifici. Secondo: per la sua capacità di divulgazione, cui noi siamo sensibili avendo avviato da tempo un master di comunicazione della scienza». Raffaella Rumiati, importante neuroscienziata sociale della Sissa, farà la laudatio: «È quasi impossibile riassumere in breve l’importanza del lavoro di Damasio. Basti dire che è stato recentemente nominato anche professore di filosofia, tali e tante sono le implicazioni delle ricerche da lui ideate e condotte, che hanno avvicinato le neuroscienze alle discipline umanistiche». (A.Lav.)

Ha acquisito notorietà mondiale al di fuori dei circoli specialistici come “l’anti-Descartes”, grazie all’opera più famosa, L’errore di Cartesio. Ma è un’etichetta riduttiva e anche fuorviante, perché Antonio Damasio non è stato certo il primo a contrastare, anche sul piano neuroscientifico, l’idea di una netta distinzione tra mente e cervello. La svolta che hanno introdotto le sue ricerche è legata invece al recupero del ruolo delle emozioni in tutte le nostre decisioni e nelle scelte morali, così come nel cercare di spiegare la funzione delle sensazioni corporee per l’emergere della coscienza e dell’io. Di tutto questo Damasio parlerà oggi alla Sissa di Trieste nella sua lectio magistralis per il conferimento del dottorato honoris causa, presentato dalla studiosa italiana Raffaella Rumiati. Al neuroscienziato portoghese, da molti anni attivo negli Usa (prima alla Iowa University, oggi alla University of Southern California), si deve l’ormai celebre ricostruzione del caso di Phineas Gage, che continua ad appassionare profani ed esperti, tanto da dare luogo a sempre nuove ipotesi.

«Il troppo però è troppo – dice Damasio ad Avvenire alla vigilia della sua conferenza – . L’operaio delle ferrovie americane vissuto nell’Ottocento è stato un personaggio storico utile. Si è sempre tentati di ritornare sui presunti misteri, è la sindrome di Sherlock Holmes. Ma non serve altro». L’incidente sul lavoro che subì Phineas (la testa trapassata da una sbarra di ferro) e la sua condotta successiva ci hanno già detto abbastanza, grazie alla geniale analisi del suo cranio e ai resoconti dell’epoca. La persona gentile, scrupolosa e posata, in seguito a un danno localizzato nei lobi frontali (in particolare nella corteccia orbitofrontale) tornò in salute ma si trasformò in un individuo impulsivo, scostante, volgare e inaffidabile. Una mutazione caratteriale che ha la sua causa in una lesione all’area cerebrale che si è rivelata importantissima per la personalità sociale e l’autocontrollo. Nei quasi trent’anni dagli studi su Gage, Damasio, con la moglie Hanna e i molti collaboratori, ha costruito un edificio sperimentale e poi teorico che costituisce ormai un punto di riferimento, ma che inizialmente si scontrava con una visione molto diversa dell’essere umano.


«Fin dal mio primo libro ho voluto richiamare l’attenzione sulla sottovalutazione delle sensazioni e delle emozioni – spiega ora –. Ho voluto dimostrare che gli affetti giocano un ruolo per le scelte, nel bene e nel male. Nel mio prossimo lavoro, The strange order of things, su cui sono attualmente impegnato e che verrà pubblicato alla fine di quest’anno, torno al tema degli affetti, cercando di spiegare il ruolo che essi svolgono nella creazione della cultura». Un volume atteso come tutti i quattro precedenti (editi in Italia da Adelphi) che, insieme ai suoi articoli scientifici, ha delineato il ribaltamento dell’idea razionalista, secondo cui la ragione è la vera guida affidabile, una guida che dovremmo preservare dalle nefaste influenze delle passioni, che ci distraggono e ci fuorviano. «Era un’idea sbagliata», dice Damasio, forte di molti studi ormai classici. Elliot è stato uno dei pazienti che ha studiato da vivo. Pur avendo subito un’asportazione di tessuto cerebrale nei lobi frontali, il suo quadro clinico era ottimo, la sua intelligenza intatta e la sua capacità di ragionamento morale astratto del tutto normale, anzi, secondo i test cui veniva sottoposto risultava sopra la media. Il problema stava nella sua vita pratica: totalmente disastrosa. Elliot e i soggetti con danni cerebrali simili non sono in grado di assumere decisioni assennate e coerenti, incapaci di mantenere un lavoro, dilapidatori di tutti i loro beni, sessualmente disinibiti. In altri termini, non bastano ragione e conoscenza per essere equilibrati soggetti morali, servono le emozioni.

È l’altrettanto famosa tesi del “marcatore somatico”: il nostro corpo manda dei segnali che noi cogliamo attraverso le sue manifestazioni (battito cardiaco, ritmo del respiro, movimenti viscerali, sudorazione) e che ci orientano. Le sensazioni positive sono l’implicito e automatico “ok”, mentre quelle negative servono da inibitori rispetto alla scelta cui siamo di fronte e di cui l’organismo valuta i possibili esiti sulla base delle esperienze precedenti e di meccanismi innati. «La nostra comprensione del processo delle sensazioni, ovvero delle esperienze mentali associate agli stati corporei, è cresciuto molto negli ultimi cinque anni – puntualizza lo scienziato portoghese –. E le sensazioni sono la chiave per comprendere la mente umana (insieme alle emozioni, ovvero programmi di azione suscitati da stimoli esterni, come la paura, che ci fa scappare o combattere, e la compassione, che ci fa aiutare chi soffre). Attraverso lo studio delle sensazioni capiamo come funziona la nostra bussola morale, la nostra creatività e anche il processo della soggettività, che è la componente principale della coscienza». Damasio ha già sviluppato una teoria dell’io e della coscienza, e della loro origine a partire proprio dalle sensazioni corporee, le prime di cui abbiamo consapevolezza. La sintesi di quale sia oggi la sua concezione dell’io è questa: «Si tratta della combinazione della capacità di avere una sensazione (o un’emozione) in relazione a un oggetto o a un’idea e della capacità di collocare la sensazione e l’immagine dell’oggetto o dell’idea all’interno delle coordinate del nostro corpo».

«Anche il nuovo libro – aggiunge – si occupa della coscienza, in particolare della caratteristica fondamentale della coscienza, costituita appunto dalla soggettività. La soggettività è la capacità di avere una esperienza mentale che fa riferimento al proprietario della mente, il nostro io inteso come processo (e non come entità astratta). Ci permette di porre in noi l’esperienza, di sentirla come propria». Nell’era in cui le macchine sembrano destinate a prendere il nostro posto, non si può evitare la domanda sullo sviluppo di automi dotati di coscienza. «Sì, stiamo lavorando su questo progetto – risponde Damasio –. È tuttavia importante sottolineare che la coscienza di un robot non sarà simile a quella delle persone. I robot non avranno emozioni e sentimenti di tipo umano». Eppure, molti di noi continuano ad avere un’intuizione ingenua sul rapporto tra mente e cervello, pensano che la mente sia qualcosa che viene prima, che può, per così dire, prendere le distanze dal corpo. «Non c’è nulla di intuitivo su come corpo e cervello producono i processi mentali – puntualizza Damasio –, se per intuizione intendiamo uno modo speciale di conoscere. La mia convinzione è che più si impara sulla struttura e sul funzionamento dei nostri corpi e dei nostri cervelli, migliori idee possiamo formulare su come funziona il tutto».

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