lunedì 29 ottobre 2012
​Nei 330 Centri sparsi in tutta Italia si fronteggia un’emergenza continua. La scelta abortiva è spesso frutto di relazioni fragili e di sofferenze emotive. Unanimi gli operatori: a molte donne basta sentirsi accolte per scegliere di accogliere a propria volta una vita che comincia.
"Concepito, uno di noi": un milione di firme cercasi
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Avanguardie in difesa della vita, dove mamme e nascituri iniziano la battaglia ben prima del lieto evento. «Ma anche durante e dopo» precisa Lara Morandi, 31 anni, assistente sociale da sette, è la responsabile del Centro Aiuto alla Vita di Firenze, uno degli oltre 330 sparsi in tutta Italia. Lo scorso anno la Morandi si è fatta in quattro per aiutare le 425 donne che hanno bussato al Cav toscano “Maria Cristina Ogier”, il primo nato in Italia nel 1975. «Nel 2012 la situazione è molto più critica, il numero di donne è aumentato, si nota un’impennata delle italiane». Il primo fattore abortivo non è la povertà ma la fragilità delle relazioni, «la solitudine, la paura della donna di trovarsi sola di fronte a un avvenimento più grande di lei» sintetizza Bruna Rigoni, storica volontaria del Cav di Bassano del Grappa. Il centro friulano nel 2011 ha assistito circa 300 donne, e aiutato a nascere 80 bambini. «Per alcuni di loro la madre aveva già bell’è pronto il certificato di interruzione volontaria – racconta Bruna – e potrebbero essere di più i bimbi salvati se medici, assistenti sociali e ginecologi collaborassero di più con noi». Certo, situazioni economicamente complicate ce ne sono, eccome. È il caso di una ragazza rumena di 22 anni, abbandonata dal suo ragazzo alla notizia della gravidanza, con il lavoro nel negozio di frutta e verdura finito alle prime nausee. «Quando l’ho incontrata in stazione a Rimini – racconta Anna Albini del Cav rivierasco – era decisa per l’aborto e non aveva neppure dove andare a dormire». Il colloquio, la mano tesa, una rete di relazioni e tutele, oggi il bambino è nato, e la ragazza è in attesa di potersi inserire in una Casa Famiglia della Papa Giovanni XXIII.Quella di Maria è una delle tante storie che in questi giorni circolano a Bellaria, dove 400 delegati dei Cav italiani sono a convegno. I problemi delle donne straniere sono un’altra delle criticità che i centri devono fronteggiare. Gli aborti delle immigrate rappresentano il 34,2% del totale (38mila), con punte ampiamente superiori al Nord. «Sette donne su dieci di quelle che si rivolgono ai nostri centri sono straniere – rilancia la Albini – e l’aumento è costante. Quest’anno sono già 250 le madri in difficoltà che hanno bussato alla nostra porta». Prima ancora che l’indispensabile assistenza, i 15mila volontari regalano prossimità alle donne e ai concepiti. «Alle ragazze facciamo anche da mamma, insegniamo loro a fare le pappe e poi a cucinare minestre per i piccoli – assicura Marsha Bruna, del Cav di Pesaro, nelle Marche – e al contempo testimoniamo il perdono, evitiamo separazioni. Non siamo chiocce ma accompagniamo queste donne ad accogliere il dono della vita».Catanzaro è uno dei Centri di Aiuto alla Vita più giovani. Ma si è dovuto velocemente rimboccare le maniche. «L’aumento di donne in cerca di aiuto quest’anno è del 30% – avverte il presidente Giuseppe Grande –. Abbiamo aiutato a nascere 30 bambini». Questo Cav conta su una rete di venti operatori, tra i quali molti giovani. I volontari dei Centri di aiuto per la vita sono operatori di ogni età, decisi a farsi grembo per chi ne ha bisogno. «Per fare informazione e avvicinare i giovani, usciamo dalla sede – racconta ancora Grande, 30 anni. – Un camper è divenuto la nostra postazione mobile con la quale andiamo in mezzo ai ragazzi. E tanti di loro salgono sul camper per dialogare con operatori e ginecologi di affettività e pillole abortive». Anche Pescara ha scelto l’itineranza, diventando «Cav on the beach» d’estate con una tenda in spiaggia.Farmaci, pannolini, pappe, pagamento di bollette e affitti, Progetti Gemma, adozioni: i Cav assistono con la vicinanza e in maniera pratica le donne gravide e le neo mamme in difficoltà. Ma come sostengono la loro attività? Bassano del Grappa, ad esempio, ha un bilancio annuale di 60mila euro. «Provvidenza» allarga le braccia Bruna. Che si declina in tante versioni. «C’era una fattura di 690 euro per pannolini da pagare e non avevo soldi. Non ho fatto in tempo a disperarmi che un signore si è presentato in sede con una donazione, un assegno da 700 euro».
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