lunedì 7 gennaio 2013
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Dopo l’ok europeo alla proposta normativa, è partita a pieno regime la campagna per «Uno di noi» («One of us»), l’iniziativa dei cittadini europei che chiede la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento. Il suo obiettivo è influenzare l’Europa perché tenga conto del valore dell’embrione nelle sue decisioni. A promuoverla formalmente, come richiesto, sono sette nomi: attivisti prolife, fra i quali Josephine Quintavalle (sue le battaglie in Gran Bretagna contro fecondazione eterologa, compravendita di ovociti, embrioni con tre genitori e altre mostruosità) e Filippo Vari, avvocato italiano esperto di questioni bioetiche e membro del Movimento per la Vita. Con loro lavorano altre 41 persone da 20 Paesi diversi. Ne abbiamo parlato con il portavoce del comitato organizzatore, il giurista francese Grégor Puppinck, direttore dello European Centre for Law and Justice di Strasburgo (una Ong di ispirazione cristiana a difesa dei diritti umani) e impegnato da anni in cause a protezione della libertà religiosa.«Tutto è nato da Carlo Casini, europarlamentare che un decennio fa ebbe l’idea di riunire in un grande movimento europeo tutti i politici, i movimenti e le organizzazioni a favore della vita. Lui ci ha proposto questa nuova possibilità di partecipazione attiva della cittadinanza alla regolamentazione. Contemporaneamente la Corte del Lussemburgo nel 2011 ha emanato una sentenza fondamentale, vietando la brevettabilità dei processi che manipolano cellule ottenute da embrioni umani. Alla base della sua decisione il riconoscimento esplicito di dignità e rispetto dell’integrità dell’embrione, che definiscono che cosa è per la Corte la vita prima della nascita, in qualsiasi modo essa sia stata creata. In parallelo, però, è nuovamente scoppiato il problema del finanziamento europeo ai programmi di ricerca sugli embrioni (nonostante in molti Stati questi siano proibiti) e crescevano le preoccupazioni per i contributi Ue ai programmi internazionali che praticano l’aborto. L’obiettivo dell’iniziativa è avere un risultato legale concreto, l’applicazione della sentenza di Lussemburgo con il divieto di finanziamento della ricerca sugli embrioni e lo stop ai fondi per i programmi abortisti. L’altro obiettivo è dare visibilità a chi promuove la difesa della vita e avere un impatto sull’opinione pubblica. La Commissione europea ha controllato la bozza di regolamentazione che le abbiamo sottoposto e l’ha convalidata».Quali sono state le reazioni?La Commissione è stata sempre molto gentile. Ma so anche che la nostra iniziativa ha creato tensioni, perché quando di mezzo ci sono i finanziamenti il dibattito è acceso. Abbiamo ricevuto molto sostegno dalla società civile, ma l’industria e parte dello staff istituzionale non erano contenti, temono la nostra iniziativa».Avete avuto difficoltà pratiche?Dal punto di vista amministrativo il sistema non era pronto. È stato un grande caos burocratico, sia a livello europeo sia nazionale. Nessuno sapeva nulla di questa nuova procedura, mi è toccato firmare 12 fogli al giorno per sei mesi di fila. Ho dovuto persino garantire che la documentazione fosse al riparo da alluvioni e ladri. Ora la situazione è difficile dal punto di vista operativo, perché per le lungaggini amministrative abbiamo perso sei mesi (e con noi i promotori di altre iniziative). Abbiamo ottenuto una deroga fino a novembre 2013, ma abbiamo legalmente la necessità di raggiungere un milione di firme entro maggio.A suo parere, quali sono realisticamente le prospettive di successo della campagna?Politicamente a fare la differenza sarà il numero di firme, un segnale importante all’Europa della volontà dei cittadini. Riuscire in questa impresa metterebbe la questione della vita sotto i riflettori.A Strasburgo sono appena scaduti i mandati di giudici con un forte orientamento politico. Continuano a esser molti i pronunciamenti che puntano ad abbattere ogni barriera (bio)etica. Che clima si respira nelle aule di giustizia europee?Il dibattito proseguirà agguerrito. Ma il caso italiano sulla libertà di esporre il crocifisso nelle aule ha dimostrato che è possibile obbligare la Corte a rispettare la tradizione di un Paese. Fra i giudici c’è un’"èlite illuminata", un gruppo ristretto ma molto influente, e anche con l’uscita di molti di loro non potremo cambiare la mentalità di tutti in qualche mese, servirà tempo. D’altro canto alcuni casi li hanno già messi in minoranza: per questo alcuni di loro hanno chiesto di giudicare "con urgenza" questioni sensibili, come regalo di fine mandato (loro e della lobby che li sostiene). La prossima battaglia, sostenuta in particolare dalla lobby gay e dal liberismo più sfrenato, è la maternità surrogata: occidentali ricchi che vanno all’estero a farsi fare (o comprarsi) un bambino.

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