giovedì 15 settembre 2016
​La mappatura genetica di 13mila abitanti dell'Ogliastra, tra i più longevi al mondo, passa di mano per un pugno di euro. E fa gola anche ai ladri.
Sul Dna dei sardi un bio-intrigo globale
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È possibile la compravendita di una banca del Dna, cioè di campioni biologici e del relativo patrimonio genetico con informazioni connesse – dagli esami clinici alle abitudini alimentari dei donatori, fino agli alberi genealogici ricostruiti incrociando gli archivi?Si, pare sia possibile, e con cifre tutto sommato modiche, per esempio 258mila euro. È la somma sborsata dalla Tiziana Life Science – società biotech londinese a guida italiana – per acquistare una società sarda, la SharDna (valutata anni fa 4 milioni di euro), la cui attività principale era la gestione di una biobanca genetica di 230mila campioni biologici (sangue, siero e altro), donati da 13mila sardi residenti nell’Ogliastra, la regione della Sardegna con una popolazione di centenari fra le più elevate del pianeta. «A Perdasdefogu, il paese dei fratelli Melis che per anni hanno detenuto il primato di famiglia più longeva del mondo, siamo riusciti a ricostruire l’albero genealogico più grande che esista. Abbiamo studiato i rapporti che si sono sviluppati nell’arco degli ultimi 400 anni. Non lo ha fatto mai nessuno» ha dichiarato Mario Pirastu, il genetista del Cnr che ha seguito fin dall’inizio questo grande studio. Era stato Renato Soru, nel 2000, a fondare SahrDna, per affiancare una ricerca del Cnr di Sassari iniziata cinque anni prima: lo studio di una delle popolazioni più longeve e anche più geneticamente "isolate" per aprire a nuove applicazioni diagnostiche e farmacologiche, e non solo legate alla eccezionale longevità. Le comunità storicamente "chiuse" a fenomeni di immigrazione presentano infatti un patrimonio genetico particolarmente omogeneo, poiché la gran parte della popolazione residente discende dal medesimo gruppo di persone: in queste condizioni gli studiosi possono individuare più facilmente i tratti genetici connessi a patologie specifiche, e quindi anche tentare di sviluppare soluzioni terapeutiche adeguate. Studi analoghi in comunità simili sono in corso a Okinawa, in Giappone, nella penisola di Nicoya nel Costa Rica e nell’isola greca di Ikaria (le cosiddette blue zone del mondo, dove vivono popolazioni record di centenari: il nome deriva dal colore del pennarello con cui alcuni studiosi cerchiarono queste regioni sulle mappe geografiche). Venduta da Soru al San Raffaele nel 2009, la SharDna è stata coinvolta nel fallimento del gruppo di don Verzè nel 2012, e l’ulteriore vendita dello scorso luglio è stata l’esito finale della procedura di liquidazione fallimentare.A gestire la biobanca sarda sarà una nuova sigla, una filiale italiana della Tiziana Life Science, la Longevia Genomics. A capo di entrambe c’è l’imprenditore italiano Gabriele Cerrone, che si sta preparando a ripartire con il lavoro di caratterizzazione e studio del Dna conservato nella biobanca. Ma la strada si prospetta tutta in salita: si tratta di una delle questioni più complesse dal punto di vista bioetico, che necessita di un dibattito molto più ampio e approfondito di quello che invece, complici le vacanze estive, si è consumato in pochi articoli della stampa italiana. Se ne è reso conto per esempio il quotidiano inglese The Guardian, che ha dedicato alla vicenda un corposo dossier alla vigilia di Ferragosto, nel quale ha ricordato una storia analoga: quella della società DeCode che, dopo aver costruito una banca genetica sulla popolazione islandese, è fallita ed è stata acquistata dalla compagnia biotech americana Amgen, per 415 milioni di dollari. Il problema centrale che si pone è la proprietà del materiale biologico, delle informazioni collegate, e del consenso informato dei donatori. A chi appartengono i campioni? E chi può disporre delle informazioni genetiche, mediche, storiche? Dal punto di vista giuridico, infatti, esistono norme europee ben definite che regolano le biobanche di materiale biologico umano a scopo terapeutico – cioè quelle che conservano cellule e tessuti destinati al trapianto negli esseri umani (dalle staminali del sangue cordonale alle cornee). Non esistono leggi analoghe per le biobanche a scopo di ricerca (come quella sarda), per le quali l’unico vincolo normativo in Italia è l’autorizzazione al trattamento dei dati genetici del Garante della Privacy, che regola le informazioni connesse al campione, e non il campione biologico in quanto tale. Esistono poi pronunciamenti autorevoli, ma solo di indirizzo, come alcuni pareri del Comitato nazionale per la Bioetica e di quello per la Biosicurezza e le Biotecnologie, e infine una raccomandazione sulla ricerca sui materiali biologici di origine umana del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 2006, il cui testo rivisto è stato adottato dallo stesso Comitato lo scorso maggio. Il consenso informato dei donatori sardi, inoltre, coinvolgeva inizialmente tre soggetti: il Cnr, la SharDna e un terzo ente solo in parte pubblico, il Parco Genetico, che in origine doveva fare da collegamento fra la SharDna e i territori dell’Ogliastra interessati alla ricerca, e che in seguito è stato rilevato dall’imprenditore Piergiorgio Lorrai, il quale rivendica a sua volta la proprietà dei campioni biologici e sta organizzando l’opposizione all’intera operazione, contestandone la deriva commerciale.Il 5 agosto a Tortolì si è tenuto un convegno sulla vicenda – «Dna rubato?» – cui hanno partecipato sindaci e amministratori locali, mentre a Urzulei è iniziata la raccolta firme per chiedere la restituzione o la distruzione dei campioni biologici dei residenti. Se poi aggiungiamo la misteriosa scomparsa di ben 14mila campioni – un probabile furto scoperto pochi giorni fa e per il quale ieri la Procura di Lanusei ha disposto il sequestro dei laboratori di Perdasdefogu e di documenti e memorie informatiche del Parco tecnologico regionale di Pula – abbiamo tutti gli elementi per un vero e proprio bio-intrigo internazionale.
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