martedì 11 marzo 2014
​Una vicenda drammatica utilizzata strumentalmente. È l’amara verità che emerge dalle verifiche compiute dalla Asl Roma B sul presunto caso di abbandono in corsia durante un aborto, denunciato da una donna nel corso di una conferenza stampa indetta dall’Associazione radicale Luca Coscioni.
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Una vicenda drammatica utilizzata strumentalmente. È l’amara verità che emerge dalle verifiche compiute dalla Asl Roma B sul presunto caso di abbandono in corsia durante un aborto, denunciato da una donna nel corso di una conferenza stampa indetta dall’Associazione radicale Luca Coscioni. I fatti riferiti dalla 28enne Valentina Magnanti, portatrice sana di una grave malattia genetica che ha fatto ricorso in tribunale per ottenere l’accesso alla maternità in provetta malgrado non sia sterile come prescritto dalla legge 40, parlano di un precedente aborto consumato nel 2010 al quinto mese di gravidanza all’Ospedale Pertini di Roma nella solitudine di un bagno e senza alcuna assistenza medica né infermieristica. Secondo la donna, e i radicali che ne hanno subito rilanciato mediaticamente il racconto, la colpa sarebbe stata tutta del personale obiettore in servizio quel giorno. L’Asl ha invece smentito questa versione dei fatti dichiarando di aver «provveduto a effettuare una verifica su quanto dichiarato dalla signora Valentina, e cioè di essere stata lasciata senza assistenza durante un'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) avvenuta nell'ospedale Pertini nel 2010. Dalle verifiche risulta che la signora Valentina è stata seguita dal personale che ha l'obbligo dell'assistenza anche nel caso di obiezione di coscienza. Nel caso specifico due medici non obiettori che fanno parte dell'équipe istituzionalmente preposta all'Ivg. Pur comprendendo il disagio dovuto al lungo periodo di travaglio – si legge nella nota – si fa presente che la rapidità della fase espulsiva del feto, avvenuta nella stanza di degenza alle ore 3 della notte, è un evento assai comune per il periodo gestazionale. La signora Valentina comunque è stata prontamente assistita e avviata alla sala parto per le successive procedure previste nel post parto». La direzione generale dell’Asl ha anche fatto sapere che «all'ospedale Pertini ci sono tre medici non obiettori che garantiscono le interruzioni volontarie di gravidanza» e che dunque non c’è alcun problema per chi scelga l’aborto. Il Ministero della Salute aveva reso noto «di aver chiesto alla Regione Lazio degli approfondimenti sulla vicenda» e in particolare «se abbia intrapreso azioni volte ad accertare che nelle strutture sanitarie preposte sia assicurato l'espletamento delle procedure previste dalla legge 194 del 1978 sulle interruzioni volontarie di gravidanza e con quali modalità la Regione controlla e garantisce l'espletamento di tali procedure nelle strutture sanitarie». Sulla vicenda è intervenuta anche la consigliera regionale Olimpia Tarzia, presidente del Movimento Per-Politica Etica Responsabilità, mettendo in evidenza come sia «quanto mai singolare che una vicenda avvenuta al Pertini nel 2010 venga portata all'attenzione dei media dall'Associazione Luca Coscioni solo all'indomani della sanzione per l'Italia (motivata dall'assunto che ci sarebbero troppi obiettori di coscienza) annunciata dal Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa» e confermata ieri. In particolare il dettaglio riferito dalla 28enne secondo il quale nel pieno del suo dramma avrebbe dovuto fronteggiare nella sua camera d’ospedale anche volontari prolife che brandidano Vangeli, molto reclamizzato sui media, sarebbe la conferma che si tratta di «un'operazione ideologica».
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