giovedì 19 maggio 2016
La vicenda drammatica del centro milanese per la maternità in provetta mostra come si aggira la tracciabilità con l’acquisto da fornitrici straniere.
Servono ovociti? Si importano donne
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Il caso del dottor Antinori, accusato di aver prelevato forzosamente ovociti da una giovane donna, a prescindere dall’esito delle indagini della magistratura, ha aperto uno squarcio su alcuni aspetti della fecondazione assistita che di solito restano nell’ambito degli addetti ai lavori. Innanzitutto – come già riportato da Avvenire domenica – ha riportato alla ribalta la questione della genitorialità e filiazione con la fecondazione eterologa (dove i gameti utilizzati sono estranei alla coppia che cerca un bambino): attualmente non ci sono "genitori" legittimati a disporre degli embrioni formati nella clinica milanese di Antinori e sequestrati dalle forze dell’ordine. Se si è genitori per un contratto, come avviene per l’eterologa, dove il donatore di gameti rinuncia al figlio con un accordo legale, ogni volta che il contratto è violato cade anche il criterio con cui individuare i genitori. Nel caso Antinori, per esempio, gli embrioni hanno una "madre" genetica, che però non voleva dare i propri gameti, e diversi "padri" biologici, che hanno dato consapevolmente il proprio liquido seminale ma per embrioni da trasferire nell’utero delle proprie mogli, aspiranti madri gestazionali e legali. Chi potrà decidere se trasferirli in utero ed eventualmente a chi (madri legali o madre genetica)? Va poi chiarito un altro aspetto fondamentale per la sicurezza sanitaria di chi accede alla fecondazione eterologa: la "tracciabilità" dei gameti procurati. Nella principale direttiva europea che regola cellule e tessuti di origine umana a uso clinico (la 2004/23), l’articolo 8 è dedicato alla «rintracciabilità» di ogni tipo di cellula e tessuti (gameti compresi): ogni stato membro dell’Unione europea deve garantire che per qualunque cellula o tessuto si sia in grado di seguire e ricostruire tutto il percorso del materiale biologico, dal donatore al ricevente, passo dopo passo, compresa la conoscenza dei materiali che vengono in contatto con le cellule e tessuti in oggetto. Solo così si può sempre risalire alle cause di eventuali eventi avversi (per esempio infezioni nella persona che riceve le cellule, se non sono state trattate correttamente). A maggior ragione questo avviene per i gameti, che consentono la nascita di un bambino con il loro Dna: la tracciabilità va dal donatore al ricevente (cioè la madre) e poi deve essere estesa fino al nato. Nel caso in cui si presentino patologie ereditarie si può risalire ai donatori eventualmente affetti e impedire che se ne utilizzino ancora i gameti. L’importazione di ovociti o spermatozoi da centri o da biobanche straniere deve quindi essere tracciabile, nel senso appena detto: deve avvenire solo fra centri autorizzati – sia di partenza che di arrivo – dalle rispettive autorità nazionali, e non possono essere importati o ceduti da singole persone (esattamente come si fa per il sangue, dove chi ha bisogno di una trasfusione non si procura la sacca portandosela in borsa). In Italia l’importazione va segnalata al Centro nazionale trapianti e al Registro della procreazione medicalmente assistita, comunicando anche le quantità. Ovviamente, perché i gameti possano essere trasportabili devono essere congelati. La tracciabilità consente quindi un controllo completo del processo di donazione dei gameti, in totale trasparenza. Ma se anziché importare gameti si fanno venire i donatori dall’estero, in Italia la tracciabilità dell’importazione salta. E se il donatore resta solo per il periodo della donazione – magari con un contratto di lavoro a termine che ne giustifica la presenza e ne consente il pagamento –, e poi se ne torna al suo paese senza aver dichiarato la donazione di gameti, tutte le fecondazioni che ne seguiranno non verranno neppure registrate, e potranno essere effettuate al di fuori di qualsiasi regolamentazione. Per esempio si possono pagare (in Italia è vietato) direttamente le donatrici di ovociti, senza passare per intermediari, risparmiando sui costi e aumentando i guadagni. Con qualche ulteriore vantaggio: per esempio importando le "donatrici" se ne possono utilizzare gli ovociti "freschi", selezionando i migliori immediatamente dopo il prelievo, senza necessità di congelarli. E se la "donatrice" straniera poi se ne torna subito a casa si rischia meno che la faccenda venga a galla, rispetto a una "donatrice" italiana, che invece resta in patria. È una delle tante varianti del traffico internazionale di ovociti, che facilmente diventa traffico direttamente di "donatrici", alimentando un mercato lucroso a scapito di donne che vendono parti del proprio corpo, e mettendo spesso a rischio anche la sicurezza delle coppie e dei bambini, rendendo impossibile la tracciabilità. A chi obietta che tutto si risolverebbe permettendo di pagare liberamente le donne per averne gli ovociti chiediamo – provocatoriamente – per quale motivo non aprire anche alla commercializzazione di organi e tessuti per trapianti salva-vita, come rene o midollo. Se il criterio è solo quello di soddisfare la domanda, perché no?
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