sabato 20 settembre 2014
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Non c’è nessuno che conosca la storia, i personaggi, l’ambiente e gli umori di Milan e Juventus meglio di Giovanni Trapattoni. L’allora diciassettenne Giuanìn da Cusano Milanino, nel 1956, dal campetto sterrato dell’oratorio San Martino arrivò al prato verde del centro milanista di Rogoredo per debuttare a San Siro il 29 giugno 1959 (Milan-Como 4-1, gara di Coppa Italia). Dieci anni dopo in rossonero era campione del mondo per club e nella stagione 1974-1975 ottenne il primo incarico da allenatore. Poi il passaggio a sorpresa alla guida della Juventus per il decennio d’oro 1976-1986: sei scudetti vinti e la conquista della prima storica Coppa dei Campioni del club bianconero nella notte tragica dell’Heysel. «Un dolore che non cancellerò mai...», ricorda ancora il Trap, eroe dei “quattro mondi”: dalla panchina ha vinto scudetti in Italia, Germania, Portogallo e Austria, ed è stato ct della nostra Nazionale e per un lustro (2008-2013) dell’Irlanda.Ma la vigilia di Milan-Juve la sta vivendo con lo spirito da “riposo del guerriero”. Come sta Trap?«Abbastanza bene grazie...», dice sospirando un po’.Sembra giù di corda, che succede? Il Trap non fischia più?«No anzi, ho avuto fin troppe fischiate alle orecchie e lusinghe da diverse federazioni internazionali, ma per ora siamo qui che aspettiamo. E forse è anche meglio, così sto un po’ a casa con mia moglie Paola...», stop ai sospiri: torna il sorriso ironico del Trap.Il progetto di fare il ct in Africa è tramontato?«Mi hanno cercato dal Marocco che ha buoni giocatori, ma il massimo sarebbe stato lavorare in Costa d’Avorio. Sembrava cosa fatta. Allenare gente come Malouda, Drogba e Gervinho mi sarebbe piaciuto tanto».E cosa glie l’ha impedito?«Il fatto che lì vogliono solo tecnici di madrelingua francese [nuovo ct è Hervé Renard, ndr]. La lingua non sarebbe stato un ostacolo, figurarsi, mi sono fatto capire da tedeschi e portoghesi. Il problema è che in Costa d’Avorio, come in tanti altri Paesi africani, i presidenti di federazione sono dei ministri, e quando la politica invade il pallone non c’è più speranza».Parecchie società europee però sperano ancora di ingaggiarla.«Ho avuto offerte da club bulgari e romeni. Ho parlato a lungo con i turchi, ma quelli sono convinti che con i soldi si fa tutto e invece nel calcio non è così... In Italia mi hanno proposto ruoli da dirigente, ma a 75 anni mi sento uomo di campo e se è possibile vorrei fare ancora il selezionatore. Altrimenti si cambia continente...».Dopo l’Africa sta pensando all’America?«No, magari un’esperienza, anche di club, in Cina, come Lippi. Il calcio asiatico è in ascesa e laggiù hanno ancora la pazienza di aspettare. Qui da noi al primo passo falso ti linciano e cominciano a dire: “No, ancora lui. Ma è vecchio!”. Io invece per spirito e idee, mi sento un quarantenne. Pensi un po’», sorride divertito il Trap.L’età di Pippo Inzaghi, che molti accostano al Trapattoni che debuttò trentacinquenne sulla panchina del Milan.«L’accostamento mi fa un immenso piacere. Pippo si è calato bene nella parte, ma il suo Milan è molto più forte di quello che ereditai io. E poi alle spalle ha una struttura che favorisce al meglio il suo inserimento: famiglia Berlusconi a parte, c’è Galliani che a Milanello è un padre putativo per tutti. L’Adriano lo conosco da quando era il factotum del Monza, non ha cambiato una virgola, vede e mangia calcio come pochi al mondo».La Juve invece ha cambiato condottiero: via Antonio Conte, il “Trap del terzo millennio”.«Conte mi somiglia, la squadra la martella parecchio anche lui. Però io quando decidevo di lasciare lanciavo segnali chiari e inequivocabili alla società, in modo che i dirigenti si potessero organizzare per la stagione seguente. La Juve è un po’ vittima della sua fuga improvvisa, ma io difendo sempre la mia categoria, anche perché il nostro è un mestiere in cui se sei troppo buono prima o poi ti fanno fuori».Allegri può essere un “ripiego” vincente?«Ottima scelta, nessun ripiego. Allegri al Milan ha dimostrato di saperci fare. Solo un appunto: quel suo puntare ad entrare tra le prime otto d’Europa mi pare riduttivo per una società come la Juventus. Il mio motto era e rimane: “Mai dire mai”. Se nel mazzo hai quattro jolly non puoi giocarteli tutti e subito, altrimenti dai degli alibi ai giocatori e quelli, si sa, se ne approfittano».Balotelli gli alibi li aveva esauriti, ha tirato la corda e il Milan, zac, gliel’ha tagliata.«Io ne ho allenate di “teste calde”... Penso a Marocchino, Cassano, Edmundo e mi piacerebbe avere a che fare anche con Balotelli, perché sono convinto che sei hai tempo e pazienza il campione vero prima o poi esce fuori e a quel punto lo porti dalla tua parte. In questo caso il Milan ha fatto come quello che ha l’arto che va in cancrena e devi decidere se sacrificarlo tutto o tagliare solo un dito. Loro hanno preferito il dito e magari hanno fatto bene. Vedremo...».Inzaghi intanto è primo in classifica senza Balotelli, ma ha detto che “al Milan serve un miracolo per fermare questa Juve”. È d’accordo?«No, perché i miracoli li fanno i santi, mentre in campo ci vanno gli umani e quindi ogni risultato è possibile. Io ho costruito la mia fama nei 90 minuti in cui fermai Pelè, ma se lo rincontravo altre dieci volte quello mi massacrava... Il Milan dunque la partita secca se la gioca, se poi parliamo di corsa scudetto allora Juve e Roma vanno più veloci rispetto a tutte le altre».Juve e Roma in Europa sono partite bene, ma ultimamente la Champions è una questione tra spagnoli e tedeschi.«Vedi il derby di Madrid e capisci il perché, lì giocano campioni di razza pura. Loro poi hanno il vantaggio delle squadre B, che non sono altro che il nostro vecchio campionato riserve: proviamo a reintrodurlo, no?» Quando il Trap allenava il Bayern Monaco non era ancora una potenza mondiale e neppure la Bundesliga era l’eden di adesso...«Vero, ma in Germania sono cresciuti tanto perché sono maestri nella programmazione. Hanno tanti sponsor, specie quelli automobilistici, che mettono a disposizione dei club palate di milioni di euro. E poi se i tedeschi sono campioni del mondo è perché hanno lavorato meglio di tutti con i settori giovanili: lassù il talento viene aiutato a crescere, qua anche quando c’è gli tarpiamo le ali».Eppure fino a ieri anche da noi nascevano i Roby Baggio, i Del Piero, i Totti: ora che sta succedendo?«Si tratta di processi generazionali. E poi abbiamo fatto un’indigestione pazzesca di stranieri, non sempre di alta qualità, che inevitabilmente tolgono spazio agli italiani. Tavecchio si è espresso male nella forma, ma la sostanza è quella: i nostri ragazzi sono penalizzati e le società continuano a volere la botte piena e la moglie ubriaca».Ma alllora “il gatto non finirà più nel nostro sacco”?«Se non guariamo in fretta dal virus dei primi della classe resteremo dei tribolati. Basta poco, tipo capire che in futuro un Bonaventura deve arrivare prima al Milan e che i tanti ragazzi in gamba che ci sono nell’Under 21 vanno gettati nella mischia e fatti partire titolari».Se potesse, stasera a San Siro su quale panchina siederebbe il Trap?«In nessuna delle due, ho già dato ad entrambe. Milan e Juve invece sono panchine in cui avrei visto bene un “ragazzo” come Giampiero Ventura [classe 1948, ndr]. Da Nord a Sud ha sempre fatto bene, meriterebbe di guidare una grande per puntare finalmente allo scudetto».
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