lunedì 27 aprile 2015
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Una di queste sere calde di primavera eravamo quattro amici al bar sport, quando ad un certo punto qualcuno di noi ha chiesto: ma che fine avrà fatto l’ex presidente del Mantova Fc, Fabrizio Lori? Attimo di smarrimento, poi la risposta in coro: il grande boh! Eppure è passato appena un lustro da quando quel ragazzone, classe 1968, dalla folta chioma mesciata e l’inseparabile occhialino tattico dalle lenti azzurrate, ha mollato il calcio. Seduto sulla panchina del Martelli aveva trascinato il Mantova ad un passo dall’apoteosi: quella serie A da cui i virgiliani (ora in Lega Pro) mancano dal 1971. L’abbiamo lasciato con un piede in paradiso, la promozione in A sfiorata nel 2006, e poi dopo il 2010 in seguito al fallimento della società, di Lori si erano perse le tracce. Fino alla notizia dell’arresto, avvenuto nell’ottobre del 2012: bancarotta fraudolenta. Due mesi di carcere e otto di arresti domiciliari per aver creato un “buco” di 40 milioni di euro alla Nuova Pansac, «la società di famiglia di cui, dopo la morte di mio padre Dario ero diventato il presidente», racconta il redivivo Fabrizio che abbiamo rintracciato a Mantova negli spazi della sua second life. Si chiama “Loriginale” ed è il negozio di abbigliamento che ha aperto con la moglie Elena in via Roma. Mentre parliamo, mamma Romana sorveglia a distanza regolamentare il suo “pupillo”. Stesso look casual dei giorni di gloria in cui era il duca - non solo del calcio - della città. Bello e un po’ dannato, ritto al timone di un’azienda leader per i prodotti plastici, con otto stabilimenti funzionanti a pieno regime, oltre mille operai e un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro. Anni in cui Lori sfrecciava in Ferrari e dopo ogni partita correva, boccoli al vento, sotto la Curva a ringraziare il popolo mantovano con un sorriso e un’allegria contagiosa. Ora il sorriso si eclissa spesso dietro nubi di traumi che affiorano dietro le solite lenti schermate, ma l’aurea, è quella un po’ triste e solitaria di chi non potrà mai cancellare la disfatta, cominciata sul campo.Dinamiche diverse, ma il crac del suo Mantova viene da associarlo a quello del Parma di Tommaso Ghirardi...«No, perchè lui era a capo di un club di Serie A, a me quella possibilità l’hanno negata... Ho seguito la vicenda del Parma e mi dispiace tanto. So che cosa significa veder fallire una società di calcio che hai amato e nella quale hai messo dentro tutto, compreso un pezzo d’anima, come ho fatto io dal 2004 al 2010».Iniziamo dagli esordi, dalla porta d’ingresso della vecchia serie C.«Un momento stupendo, arrivi, non ti conosce nessuno e vinci al primo colpo, riportando il Mantova in B dopo 32 anni».E al primo tentativo stava per essere Serie A. Ma galeotto fu il Torino.«Al Martelli all’andata della finale dei playoff li disintegriamo, finisce 4-2 per noi. Mi vedevo già l’anno dopo a San Siro a sfidare Milan e Inter. Una serata epica per me, per la squadra, per la città. Al ritorno andiamo al Delle Alpi, sarebbe stata l’ultima partita disputata in quello stadio: c’erano 70mila persone, era già tutto scritto...».Tradotto con parole sue...«Ci avevano avvertito: la Juve la mandano giù per le scommesse, due torinesi in B non ci possono stare. Io ingenuo pensavo, cose che si dicono no? Perdiamo 2-0, due rigori per cui “ringraziamo” ancora l’arbitro Farina. È stato un furto, e non lo dico io, ma lo dissero e lo scrissero tutti».Al patron del Torino, Urbano Cairo, questo l’ha mai detto?«Non parlai allora e non lo faccio neanche oggi... L’unica cosa che posso dire è che se fossimo saliti in A, avremmo incassato quei 25-30 milioni di diritti tv con i quali la storia del Mantova, e soprattutto la mia personale, sarebbero state assai diverse dell’inferno che poi mi è toccato».Ma prima della retrocessione in C il Mantova fece bei campionati.«Avevo costruito una società sana, spendendo sempre poco. Non è vero che pagavo ingaggi stellari, né che sottraevo soldi all’azienda: in sei anni ho messo 18 milioni di euro per il Mantova, erano appena l’1% del fatturato della Nuova Pansac. L’acquisto più oneroso che ho fatto è stato per l’attaccante Giorgio Corona, pagato 700mila euro al Catania nel 2007. Una miseria o poco più rispetto alle cifre folli che ancora circolano, no?». Nomi importanti, che con i vari Caridi, Notari, Godeas, Locatelli potevano farvi ritentare l’assalto alla Serie A, e invece poi il campo vi ha condannati.«L’anno dopo la beffa con il Torino faccio notare che in B c’erano Juventus, Napoli e Genoa. E anche le stagioni seguenti, quello cadetto era un campionato molto più competitivo di adesso, in cui, con tutto il rispetto, in A ci va il Carpi. Nel 2010 siamo retrocessi in C per un solo punto. L’allenatore Michele Serena veniva da me disperato: “Presidente, mi dispiace, ma io non so mica spiegarmi certe sconfitte assurde”. Io non mi capacito ancora di un Cittadella-Mantova 6-0. Per non parlare delle altre schifezze…».Quali sarebbero le “altre schifezze”?«Oltre a quel 6-0 poi abbiamo scoperto che anche le sconfitte con il Padova (3-0), Empoli (4-0), Brescia (1-0), l’1-1 con il Grosseto e anche il Salernitana-Mantova 1-3, erano partite combinate. In porta avevamo Handanovic, ma lì in mezzo al campo c’era Gervasoni che mi risulta sia stato arrestato per lo scandalo del calcioscommesse».L’esperienza del carcere, l’anno dopo Gervasoni, è toccata anche a lei.«Una pena eccessiva, ingiusta. Ma di questo non voglio più parlare… Ho pagato un prezzo troppo alto rispetto a tutti gli impuniti che ci sono in questo Paese. Quei due mesi di carcere sono stati un incubo, una ferita aperta che porterò dentro di me per sempre. Dopo Mantova mi hanno trasferito a Milano, a San Vittore, in una cella stretta che dividevo con cinque cileni. Avevo smesso anche di mangiare. Da 80 chili ero sceso sotto i 60. Uno strazio di cui porto ancora cicatrici profonde dentro di me». Come ne è uscito fuori?«Con l’amore della mia famiglia e l’appoggio spirituale di suor Eletta e la comunione settimanale che mi portava don Giorgio, a entrambi sarò grato in eterno. Anche negli otto mesi di arresti domiciliari a tenermi in piedi è stata la fede, che grazie a Dio ho sempre avuto fin da piccolo».È vero che, al Mantova lei introdusse la multa per le bestemmie in campo?«Dalla panchina non mi sfuggivano e mi offendevano certi insulti al Signore da parte dei miei giocatori, così decisi: multa da 1.000 euro a bestemmia e il ricavato lo davamo in beneficenza a un istituto per disabili».Sfatata dunque la diceria del “presidente pazzo” che si è dissanguato per il calcio e che ha distrutto il suo giocattolo?«Non mi ritengo un santo, ho commesso degli errori, ma ho pagato molto di più del danno commesso. Ero pazzo solo d’amore per il Mantova di cui ero davvero il primo tifoso. Sempre dalla parte della squadra, pronto a difendere allenatore e giocatori. Ma come ogni tifoso innamorato ero cieco, ingenuo: sono stato l’ultimo ad accorgermi che c’era del marcio nel mio spogliatoio. Non mi è mai piaciuto il ruolo della vittima, ma oggi non posso non sentirmi tale dinanzi al nostro sistema calcio».I tifosi del Mantova pensa che l’abbiano capita e perdonata?«Tanti ragazzi della Curva passano ogni giorno qui al negozio a salutarmi. Non ho mai subito minacce dagli ultrà. Ripeto, tutto quello che ho fatto è stato solo per amore della mia squadra. Mi piacerebbe rientrare nel Mantova? No, non vado più neanche allo stadio, al sabato lavoro sempre, e la domenica sto con mia moglie con la quale condividiamo un solo amore…- torna il sorriso e mostra una foto - È mio figlio, ha un anno. Si chiama Dario, come mio padre».
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