martedì 28 gennaio 2014
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C’è un allenatore in Italia (si spera più di uno), che ogni volta che i bambini lo incontrano per la strada e gli chiedono qualcosa, lui si ferma e disponibile ascolta: «E se posso – dice l’allenatore – oltre all’autografo e la fotografia scattata insieme, provo anche a dargli la risposta giusta...». Questo “mister bontà”, che da un po’ di tempo si aggira per le tribune degli stadi con tanto di barba folta, sale e pepe, non è Babbo Natale, ma il ct della Nazionale Cesare Prandelli. Ieri, a Milano, al Palazzo della Provincia, ha ricevuto l’AltroPallone – il vero “Pallone d’Oro solidale”. Un riconoscimento al suo impegno per la legalità. Un premio accolto con la consueta emozione dell’uomo vero che puntualmente si scioglie all’applauso del suo pubblico preferito: i bambini. Seduti nelle prime file c’erano infatti gli alunni della scuola primaria Tommaso Grossi di Milano. È toccato così ai più piccoli, con le loro domande, l’onore e soprattutto il merito di alzare il livello spesso discutibile delle conferenze stampa di un pre- o un post-partita di calcio.«Io quando parlo ai bambini come voi, lo faccio sempre con immenso piacere e con il cuore, senza filtri. Cerco di spiegarvi che le “partite della vita” non sono certo quelle che si giocano in campo, ma altre e ben più importanti...».Alcune di queste sfide per «la difesa della legalità», l’Italia di Prandelli è andata a disputarla simbolicamente in Calabria, a Rizziconi, sul campo di calcetto confiscato alla ’ndrangheta. Risalendo l’Italia, Cesare e i suoi legionari azzurri si sono poi fermati alle porte di Napoli, dove c’è una squadra nata dalle ceneri del Quarto Flegreo, club sequestrato al clan camorrista dei Polverino, e che ora si chiama Quarto per la Legalità. «La presenza dei bambini in quei luoghi in cui la legalità è più a rischio è il segno della speranza, che le cose possono cambiare anche grazie a un gioco come il calcio – spiega Prandelli –. La Nazionale in questi anni qualcosa di buono ha fatto per il sociale. E “qualcosa” io dico che è sempre meglio di niente... Certo si può fare molto di più». Un bambino di colore in terza fila alza la mano e chiede al ct: «Cosa si può fare ad esempio per non sentire più i cori razzisti negli stadi?». «Credo che negli ultimi tempi le cose stiano un po’ cambiando e in meglio. C’è maggiore consapevolezza del problema. Purtroppo i cattivi esempi non mancano mai, ma noi stiamo attenti e cerchiamo di fare in modo che siano sempre di più i buoni esempi».Nella Giornata della memoria, tra i ricordi più cari del ct riaffiora quel 6 giugno del 2012, quando alla vigilia degli Europei di Polonia-Ucraina, con la Nazionale andò in visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. «Quello è stato uno dei momenti più toccanti... – ricorda emozionato Prandelli –. Usciti da lì, ognuno di noi ha compreso una volta di più la tragedia degli ebrei e l’importanza di combattere ogni forma di discriminazione». La forza della cultura e dell’educazione è alla base dell’Italia che ha forgiato il Cesare, che tra i “cattivi esempi” indica anche quei genitori che pretendono che il figlio diventi a tutti i costi il nuovo Balotelli. «Quando io parlo ai bambini, è perché spero che i genitori ascoltino e si rendano conto che questo sport è e resta prima di tutto un gioco. E la regola fondamentale di questo gioco deve essere il rispetto. Senza quello non si crea spirito di squadra e il calcio insegna che si vince e si perde tutti assieme. Da soli possiamo fare poco, in campo come nella vita». Una realtà chiarissima alla platea dei piccoli-reporter-crescono, che quasi in zona Cesarini chiedono al “loro ct”: «Come mai gli stipendi dei calciatori aumentano e sono cifre milionarie e invece quello della nostra maestra è sempre tra i più bassi?». «Io come voi vivo in una società in cui in effetti si dà più valore a un calciatore piuttosto che a un un medico che salva delle vite – dice Prandelli –. Giorni fa a Firenze ero seduto vicino a un signore anziano che poi ho scoperto essere stato un grande cardiochirurgo: ha salvato la vita a decine di bambini. Ebbene io, che non ho fatto niente di speciale se non giocare a calcio, avevo tanta gente attorno che mi chiedeva di fare la foto e di firmare autografi, mentre lui se ne stava lì tranquillo a guardarmi con il sorriso, senza nessuno che lo riconoscesse. Questo, ragazzi miei, è un mondo così, un po’ strano». Strana ma non troppo la domanda dell’ultimo piccolo cronista: «E se un tuo giocatore ai prossimi Mondiali segnasse di mano come Maradona?». Prandelli sorride, ci pensa un attimo e poi ribatte, “non di mano”: «Oggi forse con la tecnologia sarebbe impossibile convalidare un gol come quello di Maradona all’Inghilterra, che comunque rimane un gesto straordinario anche perché sul momento nessuno di noi si era accorto che l’aveva colpita con la mano». In cuor suo Prandelli non lo dice, ma a uno come Pepito Rossi perdonerebbe anche un gol di mano se solo potesse volare ai Mondiali in Brasile con gli azzurri. «Mi auguro di recuperare Rossi, perché è un giocatore unico per caratteristiche nel suo ruolo». Unico quanto Mario Balotelli, il più amato dai bambini, un po’ meno dai giocatori e dai tifosi avversari. «Al Milan è arrivato un grande leader come Seedorf che ha capito subito la ricetta per curare Balotelli: a Mario serve solo essere circondato da tanto amore. Solo così potrà crescere e non è vero che non imparerà mai. Imparerà, imparerà...». La lezione involontaria di “mastro” Prandelli finisce qui e i bambini hanno imparato che dentro quella tuta azzurra, in cui lo vedono sempre, c’è molto più di un ct.
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