venerdì 27 marzo 2015
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«Come sono scampato alla deportazione? Mi ha aiutato Dio…». Fino alla fine dei suoi giorni Bela Guttmann (1899-1981), antesignano di tutti gli “special one”, Mourinho compreso, ha ripetuto questa “sua verità” di ebreo errante del pallone, perseguitato dal nazismo, poi anche dallo stalinismo. Un “salvato” il mister ungherese, scudettato con il Milan nel 1955 e vincitore di due Coppa dei Campioni con i portoghesi del Benfica che salutò - la prima volta - nel ’62, lanciando l’anatema ancora in corso: «Senza di me questa Coppa non la vincerete mai più». Dal ’39, fino alla fine della seconda guerra, Guttmann visse misteriosamente da “sommerso” e tra le tante battaglie combattute in campo poteva ricordare quelle da protagonista nella squadra degli «ebrei invincibili» di Vienna: la leggendaria Sport Klub Hakoah. Il club sionista, fondato nel 1909, dal cabarettista Fritz Lohner-Beda e dal dentista Ignaz Hermann Korner, in pochissimo tempo divenne l’espressione della migliore gioventù ebraica che eccelleva anche nello sport.Dalle prime Olimpiadi moderne, Atene 1896, a quelle di Berlino del ’36, diciotto delle 52 medaglie austriache erano state vinte da atleti ebrei. L’Hakoah andò oltre la dimostrazione dell’agognata superiorità atletica, che Max Nordau identificava nel Muskeljundentum, il «giudaismo muscolare». La squadra che si presentava come «famiglia», scendeva in campo mostrando con orgoglio la casacca biancoblu dalla grande “H” stampata al centro e la stella di David cucita sul petto. Nel primo decennio dalla fondazione, quella dell’Hakoah (precursore di altre società di matrice ebraica: le israeliane Maccabi e Hapoel, il Tottenham e l’Ajax) fu un’autentica marcia di propaganda, con i migliori talenti della scuola danubiana che facevano a gara per farsi tesserare. La brama dipendeva anche dallo stipendio, “doppio” rispetto ai pur benestanti cugini del Rapid Vienna. Il mecenatismo dei finanzieri viennesi cavalcò il grande affare pubblicitario, ancor prima che sportivo, derivante dalle brillanti prestazioni della squadra, assoluta padrona del campo e del gioco. Il tifo per le “H” di Vienna contagiò l’intera comunità ebraica. Oltre 20mila tifosi (tanti sono gli ebrei odierni a Vienna), un decimo del popolo di David presente in Austria prima dell’Anschluss (l’annessione alla Germania, 1938) alla domenica affollavano gli spalti dello stadio del Secondo Distretto. In quel piccolo teatro dei sogni di cuoio, quando era di passaggio a Vienna non mancava mai di entrare un tifoso assai speciale, lo scrittore praghese Franz Kafka. E i giocatori dell’Hakoah sul terreno di gioco misero in atto un’autentica metamorfosi calcistica. Esattamente novant’anni fa, stagione 1924-25, si consacrarono campioni d’Austria. Un trofeo da mostrare in giro per l’Europa, salendo fino a Londra nella tana dei supponenti maestri del football del West Ham, umiliati ad Upton Park con uno storico 5-0.Per la prima volta una squadra straniera andava a violare un campo inglese. A quel punto la formazione del portiere volante Alexander Fabian (era capace di trasformarsi anche in goleador) dell’imprevedibile campione olimpico - con l’Ungheria nel ’24- Bela Guttmann (il più pagato, percepiva un quarto degli introiti della società) e del fantasista Erno Schwarz, divenne un vero e proprio circo calcistico itinerante. L’Hakoah volò negli Stati Uniti per una serie di esibizioni, in cui gli ebrei americani accorsero per assistere all’inedito spettacolo. Con ogni mezzo si presentarono al Polo Grounds di New York in 46 mila - record di presenze durato fino al 1977 -. Al termine di quella sfavillante tournèe, venne calcolato che almeno 200mila spettatori parteciparono dal vivo alle sfide di quei giocolieri dell’Austria felix. Non si sa se per intuizione o per ispirazione divina, ma nove dei componenti di quel primo “dream team” ebraico decise di non salire sulla nave che li avrebbe riportati a Vienna. Guttmann fu tra questi, lusingato dal “nuovomondo”, ma anche da un ingaggio faraonico che gli garantivano i New York Giants: 500 dollari mensili per il primo anno e 1000 al secondo più vitto e alloggio a carico della società. Nei ritagli di tempo «l’astuto ebreo», come lo chiamava Gianni Brera, si improvvisò anche manager degli “Hakoah All Stars”, prefigurazione dei giganti di Harlem, i Globetrotters del basket (fondati nel ’27). I componenti di quella squadra rimasti a vivere negli Stati Uniti scamparono alla deportazione nei lager nazisti. Guttmann finito in bolletta, nel ’32 riuscì fortunosamente a tornare a Vienna per allenare la prima delle tante squadre che avrebbe guidato in carriera, l’Hakoah. Rimase su quella panchina fino all’Anschluss, allorché le SS requisirono lo stadio e la lega calcio austriaca confiscò i trofei, cancellando ignobilmente dall’albo d’oro tutti i risultati conseguiti dalle mitiche “H”, titolo nazionale del ’25 compreso.Molti di quei campioni, furono caricati su un vagone chiodato di un treno solo andata per il campo di concentramento di Theresienstadt. Le ultime immagini li vede su un campo di calcio - rimediato - nel lager che con la maglia bianca stellata affrontano le casacche nerissime della formazione del Sonderkommando. Quelle scene le ha girate - sotto minaccia dei kapò - un deportato, il comico ebreo Kurt Gerron. «Credeva di riuscire a fare un film che piacesse abbastanza ai nazisti da risparmiargli la vita», ha scritto Franklin Foer. Gerron finì i suoi giorni in una camera a gas ad Auschwitz, assieme a molti di quei calciatori. Solo 6mila ebrei austriaci scamparono all’atroce destino e di quei giorni Primo Levi tragico ricordava che «l’uomo è divenuto cosa agli occhi degli uomini». Guttmann preferiva dribblare il discorso quando gli si chiedeva dell’Olocausto. Il ricordo della shoah fu, invece, il riscatto di Ignaz Feldmann, miracolosamente salvato dal suo carceriere, un ex calciatore dell’Austria Vienna che riconobbe quell’avversario delle temutissime “H”. La memoria resiste ed è un’«Hakoah», una «forza», specie in epoca in cui negli stadi austriaci (ma anche nel resto d’Europa) sono riapparse le oltraggiose svastiche accompagnate dagli striscioni inneggianti contro lo «Juden». Anche per questo, dopo il tentativo fallito nel ’49, nel 2000 l’orgoglio ebraico viennese ha rifondato lo Sport Club Hakoah. Una polisportiva con oltre cinquecento soci, la cui squadra di calcio che milita nei dilettanti è stata ribattezzata Maccabi Wien. Nome rispolverato e simboli adottati di nuovo dall’omonima formazione di New York, risorta anch’essa, nel 2009.Il tempo passa, ma nulla è cambiato. Anzi sì, A Vienna, il campo in cui giocano i “nipoti” dell’Hakoah, non è distante da quella via che un tempo era la base delle SS e ora reca il nome di Wiesenthal, il “cacciatore di nazisti”. E quando vent’anni fa (nel ’95), il governo austriaco ha chiesto pubblicamente scusa a tutte le vittime dell’olocausto, ricordando la straordinaria storia delle «“H” di Vienna», la memoria ha fatto finalmente gol.
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