mercoledì 1 agosto 2012
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​Corpi che si flettono, mani che si piegano. Piangono le cinesi, perché non hanno vinto. E perché sono bambine che hanno smarrito il tempo. Ginnastica artistica, regno dei fantasmi. L’ex tempio delle schiave. Corpo libero, lo chiamano. Piccoli corpi, per niente liberi. La medaglia d’oro va agli Stati Uniti davanti a Russia e Romania. Le “Barbie girl” tornano in cima al podio, mentre l’Italia delle straordinarie Ferlito, Ferrari, Fasana, Campana e Preziosa si piazza settima. Che è come aver vinto dopo aver conquistato una finale storica, la prima nelle Olimpiadi (non considerando l’argento “facile” del 1928) per le azzurre. Vite parallele. Come quelle di Elisabetta Preziosa e Vanessa Ferlito, una delle due ragazze che sono diventate popolari in tv grazie al reality di Mtv che per mesi le ha seguite giorno e notte. Creando una specie di mania tra le adolescenti, facendole diventare eroine con migliaia di tifosi adoranti. Ma non è un film questo. Sono i Giochi, non un gioco. Terribilmente duro, in passato anche crudele, comunque ancora e sempre massacrante. Formiche laboriose in pedana, mani ammantate di gesso, scivolare vuol dire finire. Gambe d’acciaio sottili come dita: spaccata, salto, volo di libellula. E lacrime, parecchie. Quelle concesse. Eppure sembrano felici, diverse dalle bambine incatenate viste altre volte quando c’è una trave o un volteggio di mezzo. Impossibile dimenticare. Atlanta 1996, Kerri Strug, americana sottile. Le toccò un salto mortale con avvitamento: atterrò su un piede solo. L’ultima scelta di chi non ha più scelta. Gli Usa vinsero l’oro, lei rimase per terra. Gabbianella ferita e distrutta. La allenava Bela Karolyi, un nome che dice tutto, l’orco rumeno che aveva costruito la sua fama sul corpo di Nadia Comaneci. Lui esultava, lei si stringeva la gamba disperata. L’orco se ne accorse tardi, la portò a braccia sul podio. Lasciandola lì, con la medaglia al collo e la disperazione negli occhi. Fu l’immagine più struggente di quei Giochi che, dopo lo scandalo delle ginnaste-bambine coreane sospette di essere sottoposte a terapie farmacologiche che ne rallentavano la crescita, aprì nuovamente il coperchio sull’apparente disumanità di una disciplina che vestiva minorenni fragili da geishe per farle esibire nell’arena. Sembra passato un secolo, molto è cambiato. Le ginnaste olimpiche di oggi sembrano più mature, per fortuna. Ma le facce di porcellana sono ancora quelle e i 30 chili di insostenibile leggerezza di Yao Jinnan ieri sera, esprimevano tutto fuorché certezze. Il caso delle età truccate scoppiò a Pechino: dal 1996 la regola per partecipare ai Giochi è aver compiuto almeno 16 anni nella stagione olimpica. Yang Ylin, che vinse l’oro a squadre, ne aveva ufficialmente 16. Oppure 17 per il sito della tv cinese di Stato Cctv. Ne dimostrava 12. Delle cinque ragazze di allora, a Londra ne sono tornate solo due, la Deng e la He: 20 anni entrambe, fino a prova contraria. Dettagli per un Paese che ha ufficialmente creato un sistema selettivo per creare bambini campioni. L’indirizzo è a Changsha, in pratica un piccolo lager: dalle quattro alle sei ore al giorno a rifare gli stessi esercizi, sei giorni la settimana, undici mesi all’anno. Questo è il prezzo del podio, chi non è all’altezza viene scartato in fretta. Ieri la Cina ha perso l’oro che deteneva e addirittura è finita fuori dal podio. E nel suo piccolo è una buona notizia.Da noi per fortuna il sistema non è così alienante. Tra Olimpiadi e Mtv si è creato un flusso di popolarità attorno alla ginnastica, alle sue atlete e al loro mondo. Ma il numero dei tesserati non decolla. Tanta provincia a fare la base, la passione delle società a tenere in piedi il movimento, dedizione e impegno di chi pratica l’unica via per restare a galla in uno sport che porta via la vita, almeno a questi livelli. Il fidanzato c’è, ma viene dopo, prima la palestra: trenta ore a settimana. E Londra come un traguardo. Amore sì. Tre metri sopra il cielo, ma per la ginnastica. Vanessa Ferrari ieri ha sbagliato la prova a corpo libero, può ancora puntare a una medaglia nell’individuale. Ventun anni, la più vecchia e titolata delle azzurre, la prima a vincere un Mondiale, è grande anche se piccola nelle misure, con i suoi 1,43 di altezza per 38 chili, anche perché se mangia pasta, ha diritto a ventuno penne, né una di più, né una di meno. Bresciana, vive a Genivolta, Cremona, ha due fratelli, sua madre Galia è bulgara. E ha un allenatore, Enrico Casella, ex giocatore di rugby, ingegnere nucleare che all’atomo ha sostituito la ginnastica. «Abbiamo studiato russe e rumene, le grandi scuole, anche perché oggi questo sport è cambiato, non servono più peluche, ma fisici asciutti e potenti, con grande mobilità articolare». Nessuna idea di femminilità da tutelare, nessun corpo da bambina da proteggere. Solo doti e qualità da esaltare. È quasi sera quando alla North Greenwich Arena, Gabrielle Douglas insieme alle sue quattro compagne si aggiusta i capelli con il nastro rosso mentre riceve la medaglia d’oro. Le “Barbie girl” hanno vinto ancora. Ora finalmente potranno farsi un regalo: una bambola che le assomigli. Non sarà difficile trovarla.
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