mercoledì 1 aprile 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Gli eroi dello sport non sono più “tutti giovani e belli”. Rughe e chiome brizzolate frequentano sempre più spesso il podio, atleti attempati si accomodano accanto a sbarbatelli che potrebbero essere i loro figli. Il pàthos agonistico viene trasformato in confronto generazionale, perché questi renitenti alla pensione non si limitano più a banali passerelle per monetizzare la loro popolarità, ma pretendono pure di lasciare un segno tangibile sulla gara. Come ha fatto domenica scorsa Luca Paolini alla Gand Wevelgem. In una corsa tempestata da vento e pioggia il ciclista comasco ha staccato tutti e, a 38 anni, si è concesso il lusso di conquistare la sua prima grande classica. Davvero un lusso, non solo per l’età ma, soprattutto, per quel ruolo di gregario che svolge diligentemente da una vita. Vincere è già difficile, figuriamoci quando sei pagato per aiutare gli altri a farlo e giri il mondo in sella alla tua bici già da un paio di decenni. Sulle strade belghe Paolini ha dato una lustrata al proprio ego e offerto una lezione di carattere ai più giovani, a partire dal 21enne Niccolò Bonifazio, uno degli italiani più talentuosi, arrivato al traguardo in ammiraglia. L’attempato è diventato una costante nel mondo dello sport, perché non è facile rassegnarsi allo scorrere del tempo e per un atleta è ancora più difficile. Tutta colpa dell’adrenalina che continua a correre senza volerne sapere di tirare i freni. La lista dei “matusa” da competizione negli ultimi anni si è arricchita di ciclisti, solitamente propensi all’addio precoce alle gare, perché il loro è sempre stato considerato uno sport usurante. Quando Gino Bartali, nel 1948, vinse il suo secondo Tour de France, a 34 anni, venne celebrato come una sorta di miracolo agonistico. Oggi il principe degli irriducibili è Davide Rebellin. A 44 anni pedala ancora con l’entusiasmo di quando era adolescente. La scorsa settimana ha indossato la maglia di leader alla “Coppi e Bartali” e 5 mesi fa ha battuto tutti al Giro dell’Emilia. È ancora in sella anche il suo coetaneo Chris Horner, vincitore due anni fa della Vuelta. Non c’è più, invece, il tedesco Jens Voigt: lo scorso autunno, a 43 anni, ha salutato il gruppo dopo aver stabilito il nuovo primato dell’ora. Fra i corridori affiliati al club degli anta c’è anche Matteo Tosatto, uno dei più affidabili gregari in circolazione. Ma quali sono le motivazioni che spingono a mettersi ancora il numero sulla schiena oltre i quarant’anni? «Si corre perché c’è ancora la passione. Se poi arrivano anche i risultati ti invogli di più e pensi che è un peccato smettere quando stai bene fisicamente e non ti pesa fare la vita da atleta», rivela Rebellin che è diventato un ciclista professionista nell’estate del 1992 e non si è ancora stancato: «Se mi sentissi logorato avrei già smesso. Se uno si gestisce bene riesce a sopportare allenamenti intensi e gare impegnative. Ma tutto dipende dalla determinazione. Per me correre e allenarmi non è mai stato e non è ancora un peso». A 40 anni, però, il fisico non è più lo stesso e nemmeno la forza per spingere sui pedali. «Non è tanto la forza che viene a mancare quanto l’esplosività – confessa –. Mentre la resistenza rimane e ce n’è a volontà. Per questo soffro di più le gare brevi e mi trovo meglio in quelle lunghe». Vedere corridori “attempati” primeggiare lascia perplessi e viene da chiedersi se è merito loro o demerito dei giovani avversari. «Credo sia più merito nostro – afferma deciso il 44enne corridore veronese –. Con la determinazione si possono raggiungere certi risultati. L’età porta anche fattori positivi, come l’esperienza. E non hai più nemmeno bisogno di un allenatore: sai quando devi allenarti o riposare, e alle gare ci arrivi al meglio».Quando un atleta supera una certa età è inevitabile pensare che i rivali più giovani dovevano ancora nascere quando lui era già un professionista. «Fa un certo effetto – confessa –. Ma credo sia un buon esempio: dimostrare che si può fare attività ad alto livello anche a una certa età. Perché tutto dipende dalla volontà. Per quanto mi riguarda, poi, il fatto che lotto ancora con questi ragazzini significa che il mio fisico è integro. È una grande soddisfazione, come quando mi manifestano la loro ammirazione e vogliono farsi fotografare insieme». La stima dei colleghi nei suoi confronti è rimasta immutata anche dopo la dolorosa vicenda della positività ai Giochi di Pechino. Diverso l’atteggiamento di un’altra parte dell’ambiente che tende ad emarginarlo: «Non so perché. Tutti sono stati riabilitati, da Basso a Scarponi fino a Valverde e Contador. So solo che avrei il diritto di fare tutte le gare, come gli altri, invece, qualche volta mi viene precluso», commenta amareggiato Rebellin. Ma, forse, anche questa ostilità alimenta l’ostinazione di voler continuare a mordere il manubrio. A dispetto dell’età.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: