venerdì 14 agosto 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«Rematore e passeggero, nave di sé medesimo». Così il letterato greco Museo, nel V secolo d.C., definisce il nuotatore. Archetipico, potremmo dire, il nuotatore Leandro del suo epillio che, per improvviso, folgorante amore di Ero, ogni notte traversa a nuoto l’Ellesponto per congiungersi all’amata, che accende la lampada per segnalargli il percorso nell’oscurità ondosa. Ero è sacerdotessa di Afrodite, le è proibito l’amore. Ogni notte Leandro la raggiunge a nuoto, a Sesto, dove i due si incontrano nella torre. Ma una notte d’inverno, Leandro non regge le onde tempestose e gelate, muore a poche bracciate da lei, che si butta dalla torre congiungendosi all’amato nella morte. Il primo nuotatore è un uomo che si avventura in mare, di notte, che si muove verso un amore assoluto, lontano, proibito. Lo fa nudo, nell’acqua, solo. In questo mito narrato da Museo si nasconde forse il segreto che spinge l’uomo a nuotare. Chi ama il nuoto sa che è un’esperienza in certo senso meditante, un’uscita dal tempo, un abbandono a un ignoto richiamo assoluto. Nulla a che vedere con il navigatore. Non ha mediazioni, barca, il nuotatore. Il suo contato con l’acqua è fisico. È quasi nudo. Condizione assoluta. Spesso estrema: Ulisse, dopo infinite peripezie, perde i sensi in  mare, viene raccolto a riva svenuto, disidratato, piagato, e salvato da Nausica, nell’isola dei Feaci. Robinson Crusoe, dopo il naufragio, arriva stremato all’isola, dopo una estenuante lotta nuotando per raggiungere la riva.Noi siamo nati dall’acqua. Esempi straordinari del rapporto dell’uomo con l’elemento giungono dai poeti: Shelley e il suo amico Byron, fuggiti dall’Inghilterra per vivere sulle coste italiane (il primo a Lerici, il secondo a Venezia). Shelley è irresistibilmente attratto dall’acqua, si lascia scendere in mare, immoto, «come un grongo», scrive l’amico George, che spesso si tuffa riportandolo in superficie. Byron è atletico, lottante, grande nuotatore, traversa l’Ellesponto. Shelley cerca l’abisso, Byron lo sapeva bene, «rispetto a me è indubbiamente più profondo». Lo sport comincia a essere praticato, in quanto disciplina atletica e non puro galleggiamento per necessità o ludum, verso la fine del XVIII secolo, conseguendo una fortuna e una fama improvvise. Era esclusivo, solo aristocratici molto ricchi potevano permettersi di iniziarsi a quell’esercizio inconsueto, perfezionarsi in specifiche palestre, traversare fiumi e stretti, per il puro piacere dell’impresa. Grande e famoso poeta, Byron – il più grande nuotatore del suo tempo – si vanta molto più delle sue imprese natatorie che della sua poesia. Nuotava sempre, in solitaria, traversando stretti proibitivi, o in gara, battendo l’avversario che partiva da Londra, o dalle colonie dei Mari del Sud, per sfidarlo. Cercava, il nuoto era per lui procedere sempre, a contatto fisico, nell’acqua. Il nuotatore incarna l’uomo che si muove verso una meta inconosciuta e assoluta. The swimmer, complesso film con uno strepitoso Burt Lancaster (1968), è la storia di un uomo che di piscina in piscina ripercorre i sogni della sua vita, e i suoi fallimenti. Se, come abbiamo rilevato incontrando Klaus Dibiasi, la metafora del tuffatore adombra il viaggio verso il mistero equoreo dell’oltrevita, quella del nuotatore adombra un viaggio pressoché nudi, nell’elemento primo, con le proprie sole forze, verso qualcosa di ignoto. L’uomo impara a nuotare, ma nulla di simile al bipedismo: camminare è naturale e indispensabile, di nuotare si può fare a meno. Barche, ponti. Diffuso, con modalità un po’ pigre, molto conviviali, edonistiche, nelle numerose e fascinose piscine dei Romani: nuoto per puro diletto, affine al divertimento termale, non esiste agonismo. Le prime gare di cui si ha notizia furono disputate nel 1315 a Venezia; nel 1538 un autore tedesco pubblicò il primo trattato in materia. Un simile manuale in Italia uscì verso la fine del Settecento. In quel periodo lo sport del nuoto nasce come attività agonistica, dominio assoluto degli inglesi; la prima piscina coperta fu inaugurata a Liverpool nel 1828, nove anni dopo si tenne la prima competizione natatoria in vasca, a Londra. Debutto olimpico nel 1896 ai Giochi di Atene.Novella Calligaris è la prima italiana a salire sul podio olimpico, più volte, dopo trionfi mondiali e europei, in un’epoca in cui l’Italia non emergeva nel nuoto. Tracciava la tradizione dei futuri campioni, i Lamberti, i Rosolino, la straordinaria Federica Pellegrini. Con Novella Calligaris l’Italia diviene un Paese di nuotatori. Poeti e navigatori abbondano ab origine.L’uomo, scrive Melville, all’inizio di Moby Dick, prova una naturale attrazione per l’acqua. Ma si tratta di un’attrazione metafisica. Chi, come il marinaio o il navigatore, non  si ferma a questa sorta di attrazione contemplante, sfida le acque, si avventura. Ma su un’imbarcazione. L’immersione fisica è altra cosa, riguarda la ricerca di un elemento consustanziale. Io appartengo prevalentemente alla tipologia psicologica dell’acqua. Nell’acqua sono felice, sempre, in mare soprattutto, amo nuotare, ma amo l’acqua in assoluto, ruscelli, torrenti, rubinetti, se in albergo c’è una Jacuzzi provo ebbrezza, resto incantato davanti agli acquari, alle fontane, bevo litri di acqua… Non è così scontato. Molti faticano a berla, e non amano il contatto fisico con la liquida, magica “sorella”. Lei, che non è da questo di vista una persona normale come me, ma un campione, come essere umano, immediatamente, prova piacere nell’elemento acqua? O – riferendoci alle prime impressioni, nell’infanzia – come molti, paura?«Provo piacere, da sempre, ed è naturale, per l’essere umano, sentire quella che lei definisce ebbrezza». Scusi, ma se fosse naturale non esisterebbero tutte quelle persone che hanno paura dell’acqua.«Ho detto che è naturale per l’uomo il rapporto con l’acqua. Ma, come lei nota, non per tutti è così: quella a cui lei giustamente fa riferimento è una realtà culturale, non naturale. La paura dell’acqua è indotta, e questo è un dato di fatto accertato. Il contatto con l’acqua deve avvenire prestissimo. La prima volta che entrai in acqua avevo un anno, per questo per me fu sempre naturale. Gli americani e gli australiani, i più avanzati in queste ricerche, suggeriscono un contatto del bambino con l’acqua quando è ancora in fase precedente la coscienza. L’uomo è in simbiosi con l’acqua da cui ha origine la sua vita, nel grembo materno…».E quella della specie e anzi la vita stessa, come recitano le mitologie, le religioni, come raccontano i poeti greci e poi latini.«Il rapporto è inconscio, immediato. Certo, le mediazioni culturali ci modificano, ma non solo in relazione a questo elemento. È un fatto generale».Io vorrei sapere che cosa Novella Calligaris prova da tempo in acqua. Se tutto si è concluso con l’attività agonistica, o se è un rapporto precedente e perdurante…«Distinguo tra attività agonistica e piacere. Ho un ottimo rapporto con l’acqua, è l’elemento in cui mi sento felice. Sento in lei percezioni in cui mi riconosco. Amo nuotare in mare, perché mi piace spaziare. Per questa ragione la piscina non mi attrae istintivamente. E poi sono allergica al cloro…».Quindi, per Novella Calligaris, diventare chi è diventata è stato più faticoso che per altri. L’ebbrezza per lei è l’acqua, non la piscina. Allora vivere questa realtà è stato difficile?«Qualsiasi problema si supera automaticamente, perché la spinta sportiva, agonistica, cancella ogni ostacolo. Non pensavo al piacere, ma a superarmi. Non avevo più tempo per domandarmi se la piscina mi piacesse o meno. Era la mia palestra, il campo di prova».Per superare quello che, secondo alcuni campioni, è il vero avversario: se stesso?«Non sono d’accordo. L’avversario è un altro. Se non avessi questa certezza, come avrei potuto buttarmi in piscina, contro nuotatrici più possenti di me, che sono alta un metro e 67? E ricordiamo che io ho battuto le tedesche dell’Est, tutte più alte e grosse e tutte dopate, come la storia dimostra. Non per colpa loro, poverette. Ma io ho battuto colossi dopati. Non potevo pensare che l’avversario ero io. Ma in quello che lei dice c’è un punto in cui mi riconosco: l’avversario non sono io, ma un altro. Però per gareggiare con l’altro io devo migliorare me stessa. Migliorare, in assoluto. Lo sport è una palestra di vita, certo: frase ripetuta, ma vera. Perché lo sport ti pone, molto prima dei tuoi anni, a confronto con le difficoltà della vita. La mia prima Olimpiade a tredici anni… Si matura, nella volontà e nel desiderio di crescere e vincere. La sfida con se stesso è quando un atleta ha dei problemi. Ma in condizioni ottimali, cioè normali, la sfida è con l’avversario… cercando di conseguire il massimo da te stesso».(6, fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 12, il 18 e il 25 luglio e il 2 e l’8 agosto)
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: