giovedì 24 marzo 2016
Il mondo del calcio piange uno dei suoi più grandi campioni. A 68 anni se ne va Hendrik Johannes Cruijff, detto Johan. La bandiera in campo della grande Olanda rivoluzionaria degli anni 70.
Addio a Cruijff, è salito in cielo il profeta del gol
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«Ho la sensazione di andare sul 2-0 nella prima parte di un match che non è ancora finito, ma sono convinto di riuscire a vincere». Questo appena un mese fa era stato il grido di battaglia del grande Johan Cruijff. Ieri quel match, il più difficile che aveva dovuto affrontare nella sua vita, è finito. A 68 anni se ne va per sempre una leggenda del calcio. Il precursore dell’attaccante moderno, l’uomo che negli anni Sessanta andava a velocità doppia, come un po’ tutta la sua Ajax, è stato costretto a fermarsi per colpa del cancro ai polmoni che lo pressava da tempo. Il “Tulipano volante” però continuerà a sbocciare continuamente nei ricordi che gli dedicheranno tutti i tifosi e gli innamorati del calcio. Come dimenticare quelle progressioni celestiali e il dribbling ubriacante del “Profeta del gol”?. Ha realizzato 402 gol in 716 partite il mitico n. 14 dei lancieri di Amsterdam, la città in cui era nato e dove si era consacrato calcisticamente. Sul tetto d’Europa per tre volte con l’Ajax: tre edizioni di fila della Coppa dei Campioni dal 1970 al ’72. Leader massimo dell’Olanda. L’Arancia Meccanica che innestò il calcio totale del suo maestro, Rinus Michels, nella nazionale olandese. Johan, il rivoluzionario del football, è stato il punto di riferimento di una generazione che su un campo di calcio vide realizzare il progresso nell’«alta velocità» del gioco. Quella marcia in più e l'esplosività della "squadra corta" tutta votata all'attacco (persino i difensori) portò l’Olanda alla finale dei Mondiali del ’74, persi in casa della Germania. Quattro anni dopo al Mundial di Argentina ’78 il maturo Cruijff, allora trentenne, era pronto a trascinare alla vittoria l’Olanda, ma  «per protesta contro la dittatura militare» non accettò di andare a giocare nel «Paese dei dittatori». La leggenda vuole che Cruijff non volò in Argentina perché infortunato, la storia vuole invece che non si presentò al Mundial per paura di un possibile rapimento. La verità è forse nella terza ipotesi: l’assoluta inadeguatezza a giocare in un’Argentina ostaggio del regime di Jorge Rafael Videla. Personaggio scomodo Johan, e terzo incomodo nella storia del calcio. «Meglio Maradona o Pelè?», è il tormentone ricorrente al Bar Sport. E in molti a questo enigma hanno sempre risposto con convinzione «meglio Cruijff». Genio assoluto il numero 14 rispetto ai due 10 mondiali sudamericani, vincitori di titoli iridati, mentre l’olandese non è mai riuscito a conquistarne uno in carriera. In compenso si è tolto molte soddisfazioni con l’Ajax e poi il Barcellona che comprò a peso d’oro il “Profeta del gol”: titolo omonimo del film-documentario sulla sua vita sportiva diretto da Sandro Ciotti. Per il vecchio radiocronista, non c’erano dubbi: «Cruijff è stato il più grande di tutti». Giudizio sottoscritto anche dalla giuria specializzata che lo ha incoronato «secondo calciatore del XX secolo», dietro a Pelé. Per Gianni Brera non a caso re Johan era «il Pelé bianco». Cruijff insieme a Michel Platini e al suo figlioccio olandese Marco van Basten (che aveva lanciato all’Ajax), è il calciatore europeo che ha vinto più Palloni d’oro, tre: nel 1971, nel 1973 e nel 1974. Meglio di lui solo Messi, cinque palloni d’oro, del resto sul divino Leo aveva visto lungo portandolo bambino nella pregiatissima “cantera” del Barcellona che è cresciuta grazie all’occhio esperto di Cruijff. «Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia», è il primo comandamento che ha impartito ai suoi tanti allievi, ai quali ha sempre chiesto «dovete giocare prima di tutto per divertirvi e poi per vincere». Con Cruijff si chiude una scuola di pensiero ancor prima che un’accademia calcistica. Ma resteranno per sempre le sue prodezze, il suo coraggio e anche quel pizzico di presunzione, tipico di tutti i geni, quando dietro una nuvola di fumo e il suo impermeabile bianco ammetteva: «Credo di essere immortale!». Piccoli lampi di pubblicità, e poi subito il ritorno alla meditazione, al silenzio. E nel vuoto silente in cui ci ha lasciati, ci piace pensare che prima di andarsene via da questa terra abbia provato davvero la gioia di passare sul 2-0 contro quella malattia con cui ha invitato fino all’ultimo (mettendoci la faccia negli spot contro il fumo che provoca il cancro) a lottare, per vincerla.
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