mercoledì 8 febbraio 2012
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​Mentre l’Italia congela, Romeo Benetti se ne sta al caldo degli 8 gradi della collina ligure di Leivi a godersi il mare, uno spicchio di sole, ma soprattutto «il calore domestico della mia famiglia». Romeo il “duro” del calcio italiano, anche se negli anni ’70, quando era il baluardo del centrocampo, prima della Juve e poi del Milan («per poi tornare in bianconero, mi scambiarono con Capello», ricorda), allevava canarini da concorso. Per questo diventò il “duro dal cuore tenero”, come ha ricordato di recente Alessandro Dell’Orto di “Libero”.A fine carriera invece Benetti ha allevato talenti azzurri e a Coverciano per vent’anni è stato docente ai corsi per aspiranti allenatori. Cattedra che ora non gli è stata confermata...«Mi è dispiaciuto, ma più per la forma usata... Ho già vissuto un bel pezzo di vita per capire che tutte le cose hanno un inizio e purtroppo anche una fine. Peccato però. Penso di poter ancora dare tanto a questo nostro calcio, anche perché tra i primi dieci nomi di sempre, per fama o bravura, fate voi, state sicuri che quello di Romeo Benetti esce sempre».Per fama o bravura, ora i nomi più gettonati della panchina sono quelli di due suoi ex allievi: Antonio Conte e Max Allegri.«Sono due dei tantissimi tecnici che ho diplomato e non è detto che siano stati i migliori dei miei corsi... Chi dei due vincerà lo scudetto? Dipende tutto da come Juve e Milan sapranno gestire le energie da qui alla fine della stagione. E non è una questione di giocare le Coppe o meno».Stasera primo round del duello, semifinale di coppa Italia. Da doppio ex come vivrà questa gara?«Da anima divisa in due: tiferò un tempo per la Juve e l’altro per il Milan. La gente lo sa: a Torino quando mi vedono dicono: “Ah ecco Romeo il milanista”, a Milano invece pensano che sia “Benetti lo juventino”».Però non si è fermato in nessuna delle due città.«“Mi-la-no”, in dialetto vuol dire “io lì non ci vado”, quindi non ci resto neppure, anche se Milano per lavorare rimane la città migliore d’Italia. Torino è sempre stata classista, conti solo se sei ricco e famoso, già se diventi un ex calciatore sei tagliato fuori. E allora meglio fare una scelta come la mia, vivere in un posto come Leivi dove la maggior parte della gente campa serenamente fino a 95 anni».Ricordi delle due sponde?«Quando sono arrivato a Torino c’era lo slogan “se vuoi la Juve più bella vota presidente Catella”. Poi l’Avvocato ha visto lungo e ha fatto presidente Boniperti, ed è stata la svolta storica dei bianconeri. Al Milan ho visto passare 8 presidenti in sei anni, ma era una società distante anni luce dallo spirito organizzativo e vincente che ha portato Berlusconi».Da ex “killer”, come la chiamavano, come giudica lo schiaffo di Ibrahimovic ad Aronica?«Ma quale “killer” se non sono mai stato espulso. Gli avversari, grazie a questo nomignolo appioppatomi da voi giornalisti avevano paura e si scansavano... Quanto a Ibrahimovic paga l’effetto del calcio dalle mille telecamere che rimandano, cento volte in un giorno, quello che ai miei tempi era una carezza, più che uno schiaffo».Però, un calciatore da 10 milioni di euro l’anno come Ibra, non avrebbe l’obbligo morale di evitare anche le “carezze” agli avversari?«Quando giocavo io c’erano 11 premi partita ogni gara e noi titolari ci autotassavamo per fare avere i soldi della vittoria anche alle riserve. Oggi anche se sei il 30° della rosa, il premio partita ti arriva lo stesso e il problema è che tanti mediocri sono strapagati. Ibra invece è un numero uno e i numero uno prendono sempre poco rispetto a quello che la società ricava dai fuoriclasse».Dicono che Rino Gattuso sia stato il suo degno erede, concorda?«Non so se è il mio figlioccio, so che di gente come me e lui in campo ci sarà sempre bisogno. Mi dispiace tanto che Gattuso sia ancora fermo per problemi di salute. Rino ha dimostrato di essere un grande uomo, è emigrato ragazzino ai Rangers ed è ritornato carico di voglia di sfondare e si è preso il Milan, la Nazionale e la Coppa del Mondo».Un altro campione del mondo, ancora desideroso di incidere, è Alessandro Del Piero.«L’ho avuto in Under 15 e non dimenticherò mai quella sua prima trasferta in Portogallo. Chiesi a tutti i ragazzi quanto gli avessero dato i genitori per il viaggio e chi mi rispose 100mila lire, chi 50mila... Quando arrivai al piccolo Alex, lui con tono sicuro disse: “A me papà ha dato la carta di credito”. Mi bastò quel dettaglio per capire che aveva una marcia in più: se a 15 anni ti consegnano la carta invece del contante...».Anche Gigi Buffon fece parte della sua Under 15.«Andai a visionarlo che aveva 14 anni e quel giorno il Parma fece 0-0 con il Genoa, grazie a quel ragazzino che non solo parava tutto, ma comandava la difesa come un veterano. Bravi portieri oggi ce ne sono, ma il dna del fuoriclasse è roba rara che da giocatore ho riscontrato solo in Zoff e Albertosi. Gigi è di quella stessa razza».E la “doppia bandiera” come lei, Pippo Inzaghi, a quale razza appartiene?«A quella dei bomber puri, ma se avesse avuto pure i piedi buoni avrebbe segnato il doppio dei gol. Pippo a 38 anni ha fatto la scelta giusta, restare al Milan. Alla sua età è meglio giocare mezz’ora da Inzaghi che passare 90 minuti in campo a non veder palla e sentirti urlare dagli spalti “appendi le scarpe, vecchio”...».
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