venerdì 25 luglio 2014
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Settembre di quasi un ventennio fa (stagione 1997-’98) dopo un Roma-Lecce 3-1 un giovanissimo Francesco Totti si presenta in conferenza stampa e ai giornalisti presenti lancia il suo appello: «Per favore ve chiedo un regalo: nun me chiamate più Pupone, ormai so’ cresciuto no?». Appello respinto. Da quel giorno, se qualcuno nutriva ancora delle remore a chiamare con quel nomignolo il futuro capitano e bandiera romanista del terzo millennio, non ne ebbe più. E anche Totti con il tempo, diventando sposo della bella Ilary che lo ha reso padre di due pupi, se ne fece una ragione. Anzi, ormai festeggia con il pollice in bocca felice e consapevole che rimarrà alla storia del calcio anche come il “Pupone nazionale”. Questa è la favola a lieto fine del Tribuno di Porta Metronia, appellativo minore anche se storicizzato di Totti, che si ritrova in un libro molto divertente L’Abatino, il Pupone e altri fenomeni scritto da un tandem di sapienti memorie di cuoio, Furio Zara e Nicola Calzaretta. Una mnemonica esaustiva, che va dalla “A” di Abatino appunto, alla “Z” di Zuppa (al) che in bolognese sta per lo “Zoppo”. Alias Ezio Pascutti, bomber indimenticato del Bologna campione d’Italia del 1964: «Chiamato così – spiegano gli autori – per via dei continui acciacchi che lo rendevano zoppicante». Quello dei soprannomi dati agli eroi esemplari, e non dei febbrili 90 minuti in campo, è arte nata in Brasile, dove pochissimi protagonisti del Futebol mantengono l’originale anagrafico. Un esempio per tutti: Valdir Pereira, Edvaldo Izìdio Neto, Edison De Arantes do Nascimento, sono giunti sino a noi semplicemente come il trio “maravilla” Didì-Vavà-Pelè. Quattro lettere a far brillare stelle di prima grandezza, il cui nome-soprannome, caro alle folle degli stadi, illuminava le discussioni dei Bar Sport di tutto il mondo, nei favolosi - anche per il calcio - anni ’60-’70. Un decennio in cui mastro Gianni Brera, tra una zaffata di Toscano e un bicchiere di regale Barbaresco sfornava domenicalmente (allora si giocava solo alla domenica) epiteti assurti a “secondi nomi perenni”. Abatino «in quanto fragile e fisicamente leggero», anche nel linguaggio corrente delle casalinghe, da Voghera a Porto Palo (più a Sud di Tunisi), stava per il fidanzatino d’Italia Gianni Rivera. Poi, dopo la conquista del Pallone d’Oro del 1969 venne rivisitato - sempre da Brera - nel più internazionale Golden Boy. Alla lettera “B” il vate di San Zenone Po componeva veloce sulla tastiera della macchina da scrivere Barone. Titolo nobiliare che calzava ad hoc su Nils Liedholm come sull’elegante Franco Causio che a sua volta l’aveva ereditato dal suo primo maestro di campo (alla Reggina), l’ex capitano viola Armando Segato. E chi non conosce o si è divertito almeno una volta nel citare, anche a sproposito, la breriana triade onomatopeica? Quella composta da Puliciclone affibbiato al bomber cuore Toro Paolo Pulici, Bonimba «a ricalcare il nano Bagonghi, clown ed acrobata da circo» per l’altrettanto acrobatico Roberto Boninsegna compagno d’attacco - nel Cagliari del Filosofo, Manlio Scopigno - del devastante Rombo di Tuono: per il popolo sardo Giggirriva. L’epica di Brera raggiunse l’apice con Eupalla, protettrice del bel gioco, così come Atena lo era stata degli eroi greci sotto le mura di Troia, perciò riconoscimento spettante solo ai “Re” del football, da Pelè al Pibe de oro Maradona, passando per Cruijff e Le Roi Platini. Ognuno di questi magnifici quattro è stato avvicinato - e il gioco continua tuttora - ad epigoni di discutibile qualità che si esibiscono sui campi, dall’Islanda al Sudafrica.E questo accade anche nella nostra Repubblica - sempre meno libera - del pallone, che sopravvive tra miseria e nobiltà. Così al miserando riconoscimento per lo Sciagurato Egidio, il povero Calloni diventato tristemente e ingiustamente sinonimo dell’attaccante che manca l’appuntamento con il gol, fa da contraltare l’aurea nobiliare del Principe della Roma Giuseppe Giannini (idolo e precursore del Pupone Totti). In un panorama più povero e ridimensionato come quello dell’attuale Serie A, non si rintraccia più un Poeta onorificenza con cui la grande anima di Tuttosport, Vladimiro Caminiti, investì il portiere del Torino Giuliano Terraneo, autore peraltro di versi celebrati persino dal filosofo del “Pensiero debole” Gianni Vattimo. Il Poeta del gol rimane imperituro l’altra bandiera granata Claudio Sala. Sull’altra sponda bianconera, finché alla Juventus è resistito lo “stile” dell’Avvocato, allora la fantasia era ancora saldamente al potere. Così, sotto lo sguardo attento e rapace dell’innamorato perso del calcio, quale è stato Gianni Agnelli, Zibì Boniek diventava d’incanto il Bello di notte per la propensione del polacco a dare il meglio di sé nelle gare notturne di Coppa (ai tempi anche queste fisse al “mercoledì sport”). L’Avvocato era un esteta del calcio, per questo Alessandro del Piero ai suoi occhi era Pinturicchio in confronto a quel Raffaello di Roberto Baggio che, però, dopo l’inizio sotto tono del Mondiale di Usa ’94 lo marchiò con il bollino nero - indelebile anch’esso - del Coniglio bagnato. Il calcio, come l’Arca di Noè è popolato di “animali” (O’ Animaleresta Pasquale Bruno): dalla Faina Roberto Salvadori, alla Lumachina l’austriaco dell’Inter Herbert Prohaska, svolazzando con l’Uccellino svedese della Fiorentina Kurt Hamrin, per arrivare alle notti magiche del Mondiale del 2006 con il Ringhio Rino Gattuso, protagonista assoluto nello sbranare gli avversari di turno. È una storia infinita quella dei soprannomi che va aggiornata continuamente. Magari anche in questo momento, in cui chi è cresciuto nella sacralità del “celomanca” non può dimenticare l’Introvabile: il portiere Pierluigi Pizzaballa, la massima rarità tra le figurine Panini. Il poeta - anche del gol - Pier Paolo Pasolini, definì il «calcio l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo» e in questa religione laica viene battezzato come Don Fabio non un prevosto, ma la versione spagnoleggiante di Fabio Capello ai tempi del Real. Il Papa, invece, sta per il suo collega, mister Giuseppe Papadopulo e il primo Papa Nero in campo non è affatto un gesuita, ma l’olandese Clarence Seedorf.Nel gioco dei nomignoli intercambiabili che seguono le stagioni calcistiche e di pari “doppio passo” l’evoluzione della specie umana, l’autorevole Seedorf è diventato Obama, mentre aggiorniamo in corsa e su invito della Torcida l’alter ego del Killer. Per via del «tackle canagliesco» era stato appiccicato a un piccolo eroe dimenticato, Franco Fabbri (ex Bologna anni ’80), ma dopo l’entrata spaccaschiena a O Ney Neymar, per 200 milioni di brasiliani il “Killer” eponimo è, e per sempre sarà, il colombiano Zuniga.
Furio Zara e Nicola CalzarettaL’Abatino, il Pupone e altri fenomeniTutto il calcio soprannome per soprannomeRizzoli. Pagine 396. Euro 14,00
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