giovedì 21 maggio 2015
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C’è il rischio di essere fraintesi, a calarsi senza protezioni né paracadute fra le qualità nascoste di Maria Sharapova, bellissima fra le belle, mugolantissima fra le mugolanti. Ma non c’è intenzione alcuna, da parte nostra, di sbirciare nei fatti privati di una giovane donna che del caro, vecchio glamour, ha dato un’interpretazione ben più moderna di qualsiasi cinguettante “social”, surfando sulle onde mediatiche fino a domarle e ridurle a proprio uso e consumo. Anzi, spogliando ogni nostra successiva riga di qualsivoglia orpello pruriginoso, potremmo stabilire da subito che lei, nostra signora delle caramelle, è meritevole di un dottorato in scienze economiche, per come sa intuire i tortuosi percorsi dei flussi monetari e farsi trovare pronta agli appuntamenti irrinunciabili, ed è più brava di chiunque altro nell’arte di fare comunicazione dal nulla, come dimostra l’avventurosa sortita che precedette gli Us Open del 2013, quando era fuori gioco per infortunio. Lì inventò un’iscrizione al torneo sotto mentite spoglie, «alla maniera», fece sapere sorprendendo per le sue conoscenze storiche, «dei primi iscritti ai tornei di fine Ottocento», quando baroni e marchesi preferivano celarsi sotto nickname (oggi, pseudonimi ieri) quali Mister X. Lei si iscrisse come mademoiselle Sugarpova, la sua azienda di caramelle, off course. Obbligò i vertici del tennis a discuterne per una settimana, e i media a titolare di conseguenza. Una campagna pubblicitaria gratuita da milioni di dollari. Al centro del suo impero, che la pone fra i dieci atleti più ricchi nell’annuale classifica di Forbes (per lo scoramento di Serena Williams, che le sta davanti nei punti e nelle vittorie, ma dietro nei guadagni) c’è però un tennis vincente, che debuttò con il successo sull’erba di Wimbledon, nel 2004, e nel tempo ha subìto una sorta di mutazione genetica, conducendola a dominare sulla terra rossa, la superficie che le piaceva meno e sulla quale, fino al 2008, non ha mai vinto. «Faticavo ad amare questa superficie, ora non vedo l’ora di essere in Europa per la stagione dei tornei sulla terra», racconta. Da quella data, Maria ha intascato undici tornei “rossi”, fra i quali due Roland Garros, tre Internazionali d’Italia, l’ultimo - lo avete visto - sottratto alla maestrina spagnola Carla Suarez Navarro, e tre titoli a Stoccarda, che non conta granché per il tennis, ma regala una Porsche alle vincitrici. Alla seconda di fila, l’azienda tedesca ha pensato bene di chiedere a Maria se avesse intenzione di diventare loro testimone… Ora, nell’attesa che tennis e tennisti si trasferiscano da Roma a Parigi, per l’unico, vero campionato mondiale sulla terra battuta, può fare da utile intrattenimento porsi due domande sulla siberiana capitana di industria e tennista riconvertita ai campi in rosso. La prima è in che cosa la faciliti, sul campo da tennis, un fiuto per gli affari pari a quello del più feroce lupo di Wall Street. La seconda, come sia stata possibile la mutazione che l’ha resa reginetta della terra.Facile rispondere al primo quesito, se è vero che fra le doti dei lupi vi sia anche quella riluttanza a mollare la presa quando i denti si chiudono su una preda preziosa. Nella finale romana la spagnola Suarez (colpi sontuosi quanto prevedibili) le stava dando lezione, o così sembrava, ma la russa ha continuato a randellare e quando le prime due o tre mazzate sono giunte a destinazione, intorpidendo l’azione dell’avversaria, Maria ha preso - famelica - il sopravvento. È in queste occasioni che vedi la russa sfoderare gli artigli, e con quelli restare aggrappata al più infimo granello di polvere che possa trarla in salvo, tenendosi in vita con una ostinazione che non può che farle onore. Sono queste le doti nascoste della Sharapova, quelle che non ti aspetti in una ragazza da copertina, quelle che ammaliano. Batterla è un’impresa. La Maria che sembra fatta di marmo levigato, ha un’anima di fuoco, da vero soldato di ventura.Al secondo quesito, la risposta è stata lei a darla, più meditata e profonda, dato che si tratta di un’evoluzione che non si era mai vista in una giocatrice. «Ho imparato ad avere pazienza. È successo con gli anni, ma è stato un passaggio gradevole. Ho capito che su questa superficie non basta colpire forte, ma occorre saper attendere e lavorare ai fianchi le avversarie». È successo qualcosa di più, invece. Uscita da un brutto infortunio alla spalla, Maria ha capito presto di dover ammorbidire certi movimenti, per non finire di nuovo sotto i ferri. E ha fatto di necessità virtù. Ha studiato un modo sicuro per restare al vertice, affidandosi meno alla forza bruta e maggiormente alla solidità, e ha aumentato la parte atletica, diventando più resistente. Con queste armi si è ritrovata d’incanto a vincere sul rosso. «Il tennis esige massima professionalità», è il suo brand. Ma la professionalità - molti lo dimenticano - è anche sapersi mettere in discussione.
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