martedì 6 settembre 2016
Uno siriano e l'altro iraniano, gareggiano nel nuoto e nel lancio del disco. Grandi (Acnur): è un messaggio di sostegno per tutti i rifugiati e richiedenti asilo con disabilità nel mondo.
Paralimpiadi, due rifugiati in gara a Rio
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Due rifugiati in gara alle Paralimpiadi: l’edizione di Rio 2016 dal 7 al 18 settembre si arricchisce di un altro primato, con la partecipazione - per la prima volta nella storia dei Giochi - di due atleti, provenienti da Siria e Iran, che gareggiano sotto le insegne del Comitato paralimpico internazionale (Ipc). A partecipare sono Ibrahim Al Hussein, siriano che vive e si allena ad Atene, e di Shahrad Nasajpour, iraniano da tempo trapiantato negli Stati Uniti d’America. I due - che hanno ottenuto ufficialmente l’asilo - faranno parte del team indipendente, costituito da atleti che - per vari motivi - non gareggiano sotto le bandiere della propria nazione. Con loro, un capo missione, un tecnico e un allenatore. È stato il Comitato paralimpico internazionale a farsi carico delle spese per la loro partecipazione, compresi i costi di viaggio, ma anche gli sponsor della manifestazione hanno partecipato coprendo gli aspetti assicurativi, di abbigliamento e di sostegno tecnico alle protesi e agli ausili, anche riguardo alle esigenze di mobilità della squadra. Dopo Rio 2016, saranno seguiti ancora dalla Fondazione Agitos, il braccio operativo dell’Ipc nel sostegno e nella promozione dello sport paralimpico nel mondo.

(Nella foto i due atleti assieme allo staff tecnico che li accompagna a Rio) Shahrad Nasajpour è un iraniano che ha ottenuto lo status di rifugiato negli Stati Uniti e su sua esplicita richiesta non sono stati forniti dettagli sulla sua situazione personale: gareggia nell’atletica leggera, nel lancio del disco F37. Ibrahim Al Hussein (che gareggerà nei 50 e 100 stile libero S10) è un siriano, appassionato di nuoto fin da quando con i suoi 13 fratelli nuotava nel fiume Eufrate sotto le indicazioni del padre, allenatore in questa disciplina. La sua carriera in gare e tornei nazionali si è fermata con lo scoppio della guerra in Siria, e in particolare un giorno del 2013 quando - nel tentativo di soccorrere un amico colpito da una bomba - è stato a suo volta vittima del bombardamento, perdendo la gamba destra sotto al ginocchio. Viene operato in situazione di emergenza, rimandato a casa il giorno stesso: iniziano mesi difficili, bloccato in casa, senza farmaci e senza prospettive. «È stato molto difficile non essere in grado di fare nulla». Decide di fuggire in Turchia sperando in una assistenza migliore. Una volta in Turchia, viene aiutato a compiere un pericoloso viaggio in barca verso la Grecia, qui chiede e ottiene lo status di rifugiato e le cose iniziano ad andare meglio.

Col tempo, nell’ottobre scorso riprende a fare sport, anche grazie al sostegno del Comitato paralimpico greco. Gioca a basket in carrozzina, ma soprattutto ricomincia a nuotare: «Il mio principale avversario sono io», dice, e non è un modo di dire, perché il suo obiettivo è tornare a nuotare sugli stessi tempi che faceva prima del suo ferimento. Al momento rimane sopra di un paio di secondi rispetto al suo primato personale, ma nei mesi sta costantemente recuperando terreno. Andare alle Paralimpiadi è sicuramente un nuovo stimolo: «È impossibile descrivere l'onore che provo, dopo 22 anni di allenamento il mio sogno di partecipare ad un grande evento si è finalmente avverato. La sera vado a letto e piango di felicità». «Quando ho perso la gamba ho pensato che il mio sogno fosse svanito, ma ora si è realizzato: non posso credere di essere a Rio. Voglio inviare un messaggio a tutti coloro che sono feriti: anche voi potete realizzare i vostri sogni». Nello scorso mese di aprile, dopo l’accensione della fiaccola dei Giochi Olimpici, Ibrahim l’ha portata attraverso un campo profughi di Atene: un gesto simbolico destinato a mostrare solidarietà con i rifugiati di tutto il mondo in un momento storico in cui la guerra e i conflitti hanno costretto 65 milioni di persone a fuggire dalle loro case. “Lo sport – dice – mi dà energia: io sono fatto così, posso anche non mangiare ma non potete togliermi il piacere di allenarmi”. Grande soddisfazione per la partecipazione dei due atleti viene espressa dall’Acnur, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. «Il team indipendente paralimpico – commenta Filippo Grandi - è un simbolo della forza e della determinazione di tutti i rifugiati con disabilità che fanno fronte a crescenti e importanti sfide. Siamo tutti molto ispirati dal loro esempio e non vediamo l’ora di tifare per loro. Includere un Team di rifugiati nei Giochi Paralimpici rappresenta – conclude l’Alto Commissario – rappresenta anche un messaggio di sostegno per tutti i rifugiati e richiedenti asilo con disabilità nel mondo».
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