mercoledì 25 novembre 2015
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Prima lanciarsi dal trampolino per volare centinaia di metri sopra la neve. Poi allacciarsi gli sci stretti ai piedi per percorrere dieci chilometri sul manto candido. La combinata nordica è una delle discipline più difficili nell’ambito degli sport invernali, perché mette insieme due specialità agli antipodi: il salto e il fondo. Da un lato occorre avere potenza ed esplosività, dall’altro forza e resistenza. Caratteristiche antitetiche. Sarà anche per questo che nel nostro Paese l’arte del salto più fondo non è mai stata all’avanguardia. Fino a che sulla scena agonistica è comparso Alessandro Pittin da Cercivento (Udine), classe 1990, primo atleta azzurro a vincere una medaglia nella storia della combinata nordica ai Giochi olimpici. Accadde nel 2010 a Vancouver, quando l’allora ventenne carnico fu bronzo a sorpresa. Due inverni più tardi l’exploit in Coppa del Mondo a Chaux-Neuve, nel Giura francese, con tre vittorie in tre giorni consecutivi. Sembrava l’inizio di un’ascesa imperiosa, ma poi per colpa di un infortunio Pittin era precipitato nel baratro. Il quarto posto ai Giochi di Soci l’aveva riportato in auge, ma è stato lo scorso febbraio in Svezia che il combinatista azzurro ha estratto la perla, conquistando un’insperata medaglia d’argento ai Mondiali di Falun. Il tutto con una gara alla Pittin: difesa a denti stretti nel salto dal trampolino e poi attacco deciso nella dieci chilometri a inseguimento. «Il nostro è uno sport complicato, perché per eccellere bisogna essere competitivi in due esercizi opposti dal punto di vista tecnico, poiché necessitano di allenamenti completamente differenti. Non si può perfezionarsi in un gesto, tralasciando l’altro, ma occorre ricercare l’equilibrio giusto». Pur essendo molto più forte nel fondo, Pittin non ritiene di specializzarsi nella sua arte preferita: «Ho dimostrato di poter vincere gare di combinata e quindi ci tengo a restare un combinatista. Devo migliorare nel salto, sì, ma non penso di passare al fondo». Volare è un’emozione fantastica. Avvertire la pressione dal basso e galleggiare in aria è infatti un’esperienza adrenalinica: «Non ho mai avuto paura del trampolino, perché ho cominciato sin da piccolo sugli impianti minori e sono passato pian piano a quelli più grandi. Dopo la caduta e l’infortunio ho fatto di tutto per accelerare il recupero. È stata dura riprendere le giuste sensazioni dopo il lungo stop». La stagione di Pittin – amante del rock e divoratore di romanzi storici – comincia con una scelta strategica: niente tappa inaugurale a Ruka sabato prossimo ed esordio spostato a Lillehammer a inizio dicembre: «La prova finlandese è sempre difficile per via del vento, perciò abbiamo deciso di rinunciare e cominciare direttamente dalla Norvegia dove trampolino e pista si addicono di più alle nostre caratteristiche». La preparazione estiva del carnico è stata costellata di alti e bassi: bene nel fondo, è mancata la continuità nel salto. «La prima parte di gara è il mio tallone di Achille, perciò dal trampolino non posso che limitare i danni per poi dare tutto nel secondo segmento». Proprio per questo, inutile nasconderlo, Pittin può cercare di vincere solo sui trampolini di minori dimensioni, come l’impianto austriaco di Ramsau am Dachstein, il tedesco di Schonach im Schwarzwald e il transalpino di Chaux-Neuve. Impianti che Pittin conosce bene perché durante l’anno è costretto ad allenarsi all’estero vista la carenza di impianti in patria. «Siamo sempre in giro a cercare un trampolino libero. In Italia l’unico disponibile è a Predazzo in Val di Fiemme, per il resto dobbiamo spostarci in Austria, Slovenia o Germania, macinando migliaia di chilometri». Tra l’altro Pittin si allena per la maggior parte del tempo da solo, seguito dall’austriaco Lukas Tschoschnig per il salto e da Giuseppe Chenetti per il fondo, mentre il resto della squadra azzurra è allenata da Paolo Bernardi e Pietro Frigo. In uno sport povero Pittin – che se non fosse diventato combinatista avrebbe voluto fare il pilota – è uno dei pochi ad avere uno sponsor personale, essendo tra i testimonial di una nota azienda austriaca di bevande energetiche: «Mi ritengo fortunato perché la combinata è uno sport praticamente sconosciuto che non viene neanche trasmesso in tv». Il problema sta forse in un format di gara poco appetibile: «Gli sport composti da più specialità fanno fatica ad essere seguiti dai media. A mio avviso andrebbero accorciati i tempi tra le due prove». Infine, nel bel mezzo della bufera doping che ha sconvolto l’atletica leggera, Pittin alza il dito contro un’altra forma di illecito, legata ai materiali: «Nel nostro sport il problema non è il doping farmaceutico, ma la furbizia di alcune nazioni nell’eludere il regolamento tecnico sulle tute dei saltatori. Specialmente i Paesi più ricchi hanno trovato in passato degli escamotage per gareggiare con materiali non proprio regolari. Se non si interviene duramente con regole precise e affidando pieni poteri alle giurie sui campi di gara c’è il rischio che le competizioni siano falsate».
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