domenica 24 gennaio 2016
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Gioventù, destino, la spuma oltre le caviglie, l’aria cannibalizzata dalla fusoliera di un aereo, ambizioni, desideri, talento, amarezza, anni spezzati, un aereo sbagliato… Questa è una storia che ha in sé tutti i codici dell’epica tragica e che ha appena “riscritto” Dario Ricci nel suo libro I ragazzi di Brema (Infinito Edizioni). Siamo nei cieli sopra la città di Brema, estremo nord della Germania. È il 28 Gennaio del 1966. È venerdì. Un vecchio aereo, un Convair 440, sorvola il cielo della città dei Musicanti. Il cielo in realtà è un impasto di nuvole dense, nebbia a banchi e pioggia. Su quell’aereo si trovano stipati quarantadue passeggeri e i quattro uomini dell’equipaggio. Tra i passeggeri ci sono sette ragazzi della nazionale italiana di nuoto, il loro allenatore e un cronista Rai.  I ragazzi. Atleti nati per fendere l’acqua leggera di una piscina in giro per il mondo per portare a casa allori, medaglie, record. Sono loro l’orgoglio della federazione. La più giovane del gruppo, Daniela Samuele, ha diciassette anni, viene da Milano, ma è genovese e il suo elemento naturale può trovarlo solo in vasca. Il più anziano del gruppo, il veterano nonostante i soli ventitré anni, si chiama Bruno Bianchi, il capitano. Bruno è un triestino schivo che vive a Torino dove lavora in fabbrica - alla Fiat… e se no dove? - per mantenersi agli studi e continuare a coltivare il suo grande amore: il nuoto. Bruno è turbato. Il suo amico Dino Rora, più giovane di lui di due anni e suo concittadino, gli ha domandato il motivo e Bruno ha minimizzato. Ma in realtà entrambi sono saliti a bordo con dentro una strana sensazione. Bianchi ha in mente un aereo indiano che si è schiantato sulla dorsale del Monte Bianco qualche giorno prima, Dino quasi per empatia con l’amico con cui condivide anche il lavoro in Fiat ha telefonato alla madre chiedendole perdono, «perdono per tutto, mamma!». Sui sedili del Convair c’è anche la bolognese Carmen Longo. Diciannove anni. I suoi pensieri sono le interrogazioni di latino e greco e un’idea della morte che ha appuntato su un diario di scuola riprendendo dei versi di Saffo. Con loro anche Amedeo Chimisso, vent’anni. Amedeo viene da una città fatta di marmo e mare: Venezia. Il padre fa lo scaricatore al porto e non riesce a mantenere tutta la famiglia. E visto che il nuoto non dà popolarità né i guadagni di altri sport più celebrati, Amedeo s’è adattato a lavorare come fattorino tra le calli veneziane pur di continuare a vivere il silenzio dell’acqua. Sergio De Gregorio ha vent’anni e viene da Roma come Luciana Massenzi che di anni ne ha ventuno. Roma e la sua tradizione di nuotatori ha sfornato due talenti puri che hanno seguito strade diverse per poi approdare insieme in nazionale. Sergio è un figlio del popolo costretto ad allenarsi anche di notte; Luciana ha a disposizione maggiori mezzi economici che le hanno permesso di migliorare le prestazioni andando ad allenarsi in Francia. Ragazzi, dunque, destinati a ritagliarsi spigoli di gloria seppur residuali rispetto a sport come il calcio o il ciclismo. Cuccioli acquatici. La loro chioccia si chiama Paolo Costoli, un ex nuotatore che a cavallo delle due guerre ha ottenuto notevoli risultati. Costoli è subentrato a Dennerlein, salvandogli la vita. Al gruppo si aggrega un giornalista. Un professionista della Rai specializzato nel commento e nell’analisi dei grandi meeting del nuoto: Nico Sapio. Per un evento importante, il migliore cronista. Il gruppo arriva all’aeroporto di Francoforte per imbarcarsi alla volta di Brema. Un banale ritardo fa sì che perdano il volo. Sono costretti a salire sull’aereo successivo. Il maltempo imperversa su tutta la Germania, ma c’è comunque l’eccitazione del pre gara. Paolo Costoli, un uomo da quattordici titoli assoluti, un pesce prestato alla terraferma, cerca di tenere alto il morale senza far perdere la concentrazione a chi ancora non ha l’esperienza per gestire eventi importanti. Il Convair 440 decolla alla volta di Brema. Sembra quasi una contraddizione in termini che creature acquatiche si ritrovino in cielo. Il volo è scosso da una serie di turbolenze fino all’arrivo a Brema dove il pilota avvia le manovre di atterraggio. A quel punto si materializza la disgrazia. Forse un’errata manovra oppure un problema all’impianto comandi dell’aereo, fatto sta che il velivolo si schianta al suolo. L’impatto e la conseguente esplosione illuminano - dicono i testimoni - i boschi nei dintorni della città. Nella pancia dell’aereo ci sono le speranze del nuoto italiano. Tra le fiamme e le lamiere contorte viene evocata una nuova macabra Superga anche se i nomi dei ragazzi non raggiungeranno mai la leggenda di Bacigalupo, Gabetto e Valentino Mazzola. Anche le tragedie rispondono a una gerarchia. L’Italia quel giorno è paralizzata davanti ai televisori che trasmettono la XVI edizione del festival di Sanremo e i nuotatori sono, per lo sport nazionale, figli di un Dio minore acquattato tra la spuma e le onde. L’orrore per la morte di giovani vite però non passa inosservato a tutti. Dino Buzzati scriverà «non erano ricchi né famosi. A guardare le loro foto fanno tenerezza e pietà. E poi l’Italia era a seguire Sanremo, una gara di nuoto in un paese che non sa stare a galla, non era così interessante».
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