martedì 9 febbraio 2016
​Dietro la telenovela Mister Bee una nuova cordata cinese.
Milan, 30 anni fa iniziava l'era Berlusconi
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Il lancio dell’agenzia Ansa venne battuto alle 22.27, giovedì 20 febbraio 1986: «Da oggi pomeriggio il gruppo Berlusconi è entrato materialmente in possesso del pacchetto di maggioranza delle azioni del Milan». Si sapeva già da qualche giorno, almeno dieci: e dunque, ora più, ora meno, eccoci proiettati nel trentennale della fondazione di un altro club allora accreditato di oltre 86 anni di vita vissuta e gloriosa. Perché il Milan di Silvio Berlusconi è stato ed è un’altra società, un punto di svolta troppo grande per la storia del calcio internazionale, figuriamoci per quella grande eppure singola del sodalizio che ha iniziato il cammino della grandeur pallonara di Milano. Il Diavolo del Biscione - che fastidio per il tifoso, il simbolo fininvestiano simil-interista - come una vera e propria Seconda Repubblica rossonera in realtà tessuta come una monarchia: il patron un Re Sole illuminato, Adriano Galliani il suo scarsocrinito Richelieu, intorno una serie di grandi consiglieri e cortigiani più o meno influenti via via dissoltisi in un tempo infinito, per una società di calcio. Trenta anni, dentro o intorno a un campo di calcio, sono una sorta di era mesozoica: e non si parla ovviamente tanto di proprietà - gli Agnelli viaggiano verso i 93 anni di Juventus -, quanto di diligence, di modello, di organizzazione, di investimenti. Esistono pochissimi precedenti di vertici di una società sportiva di primissimo piano rimasti cristallizzati per un simile periodo: ma nella cristallizzazione, è stato coinvolto anche il Milan, incapace da qualche anno non solo di vincere - l’ultimo dei problemi, a fronte della eccezionale bacheca dei trofei -, ma di essere protagonista, difendere o ancora meglio evolvere la sua identità, quella di vettore di un calcio importante, bello, “avanti” nel concetto progettuale ancora prima che tecnico. Trenta anni sono tanti al punto di stentare a credere che il team che ai (tantissimi) soldi seppe unire le idee, dal campo alla comunicazione allo stile, sia lo stesso che oggi si accontenta di una mediocrità non sempre aurea sul terreno verde e conosce una serie di inciampi progettuali non proprio risibili, dal flop del nuovo stadio - con tanto di contenzioso con la Fondazione della Fiera di Milano - al lento e sempre più misterioso naufragio della trattativa per il trasferimento del 48% delle azioni della società con il thailandese Taechaubol, non casualmente ormai da tutti conosciuto come Mr.Bee, così simile nella fonetica al comico pasticcione inglese interpretato e da Rowan Atkinson. Un mancato passaggio epocale che nella scorsa estate fece davvero credere che, proprio in concomitanza dei 30 anni berlusconiani, si potesse aprire una nuova (e ricca) pagina della Seconda Repubblica del Milan, innaffiata dal denaro dei magnati venuti dall’Asia e gestita sempre e comunque da Re Silvio e dal fido Adriano Galliani, capace di superare anche la tempesta imperfetta scatenata da Barbara, l’erede al trono. La fine dei giochi con Taechaubol è stata smentita anche ieri da un comunicato ufficiale Fininvest (nel quale, assai curiosamente, l’importante interlocutore è anche lì definito «Mister Bee») che nega recisamente anche la nuova ipotesi, il nuovo rumour: altri acquirenti ci sarebbero, eccome, in particolare uno dalla Cina. Solo che vorrebbero tutta la torta, non una fetta, anche grande, ma pur sempre una fetta. Registrare la smentita è d’obbligo, rimane la notizia - confermata - che contatti sono in corso. Ma per ora, la prima domanda, la prima umana curiosità è sui pensieri di Silvio Berlusconi, se sia davvero pronto a lasciare la sua creatura a dispetto di ogni declino, di ogni impossibilità nel reggere gli esborsi richiesti da quel mega-calcio che proprio lui, non altri, ha creato. Non in questa maniera, nel caso, sostiene chi fa parte della sua sfera o stratosfera. Non può finire normalmente dopo 28 titoli, Coppe e Supercoppe che hanno fatto detenere al Milan, fino a un respiro fa, lo status di club più vincente a livello internazionale; dopo investimenti che tra gestione societaria, calciomercato, stipendi sono incalcolabili, certamente abbinabili alla locuzione “miliardi di euro”; dopo le foto sorridenti con Gullit e Kakà, Maldini e Shevchenko, dopo le stagioni più recenti che hanno offuscato la sua immagine da Re Sole presso un numero importante di supporter, resi irriconoscenti da una apparentemente interminabile crisi di astinenza di campioni veri, di serate di gloria. Berlusconi riflette, magari sospira. E comunque celebrerà i 30 anni dell’A.C. Milan 1986, la grande squadra di calcio voluta, creata, lanciata in orbita e adesso conservata lì, nella teca buona, dove comunque rimarrà. Perché nel 2016, 2017 o quando sarà, con altri uomini - venuti da lontano - comincerà un’altra storia, non continuerà quella precedente. E chissà dove porterà il vecchio Diavolo.
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