venerdì 9 ottobre 2015
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Anche il calcio ha i suoi migranti disperati. Nei giorni in cui l’Europa assiste al dramma di migliaia di profughi che scappano dalle guerre di Medio Oriente e Africa forzando il confine macedone o continuando a solcare il Mediterraneo a rischio della vita, lo sport più popolare del mondo scopre di vivere una situazione simile nell’apparentemente dorato movimento del Vecchio Continente.  Il sindacato mondiale dei calciatori (Fifpro) ha denunciato l’esistenza di una vera e propria tratta di minori extracomunitari in Portogallo. Alla base della presa di posizione della Fifpro c’è un rapporto del dipartimento per l’Immigrazione lusitano che cita numeri drammatici: nella sola regione centrale del Paese sono stati censiti ben 157 calciatori immigrati illegalmente. A 105 di questi giovani giocatori è stato notificato un provvedimento di espulsione. Tre ragazzi sono stati arrestati per non aver rispettato un precedente ordine di lasciare il Portogallo. Questa scoperta ha portato a ispezioni in 60 club calcistici, 25 dei quali sanzionati con multe tra 50mila e 250mila euro per violazione delle norme sull’immigrazione. Il copione di queste vicende è simile. Un procuratore porta in Europa giovani africani o sudamericani con la promessa di un tesseramento in società importanti. In realtà spesso questi contatti sono inesistenti. L’a- gente prova la fortuna con provini in squadre molto meno famose sperando di ritrovarsi tra le mani un baby-fenomeno con il quale arricchirsi. Ma in caso di insuccesso (l’eventualità più frequente) i ragazzi finiscono allo sbando a migliaia di chilometri da casa. Eloquenti tre casi raccontati dalla Fifpro. Il 18enne brasiliano Alexandre Rambo, giocatore del Paranà, è stato convinto a volare in Portogallo dalla promessa di un procuratore che garantiva un contratto col Porto. In realtà Alexandre finisce a Lisbona ad allenarsi in squadrette di seconda fascia fino a quando l’agente non lo chiama in hotel dicendogli di tornare in Brasile senza nemmeno pagargli conto della stanza e biglietto aereo. Solo dopo due mesi nella capitale portoghese, trascorsi senza i soldi necessari al viaggio di ritorno, Alexandre può sorvolare nuovamente l’Atlantico. Ancora peggiore il destino del 23enne ivoriano Tozan Anicet, abbindolato da un agente che favoleggiava di un contratto con il Rio Ave. In realtà il ragazzo africano può solo allenarsi con squadre delle divisioni inferiori che, però, non gli possono garantire una regolarizzazione effettiva. Così Anicet finisce per barricarsi nella sede di uno di questi piccoli club che non potevano più trattenerlo. Il caso richiede addirittura l’intervento della polizia: le speranze di una carriera in Europa di qualche mese prima terminano in un commissariato. Solo un’albergatrice di buona volontà di Setubal ha salvato due ragazzi ghanesi sballottati tra Danimarca e Portogallo dal solito faccendiere travestito da procuratore che li aveva fatti volare nel Paese scandinavo alla ricerca di un club. Fallita la manovra a Copenaghen, l’agente chiama un amico a sud dei Pirenei per un nuovo tentativo. «Sono arrivati due ragazzi denutriti – racconta il contatto portoghese Joao Gonçalves che per fortuna si rivela più sensibile del collega – impossibile farli allenare in quelle condizioni. L’unica possibilità era che tornassero in Ghana». Alla fine ci pensa Gonçalves a pagare il biglietto aereo per consentire ai due ragazzi africani di riabbracciare le famiglie. «Purtroppo pochi calciatori decidono di denunciare queste vicende -– spiega il presidente del sindacato portoghese, Joaquim Evangelista – perché sono minacciati. Agenti e club dicono ai ragazzi che non giocheranno più se racconteranno le loro disavventure. E molti di questi giovani non vogliono tornare nei loro Paesi perché si vergognano per avere fallito e per non avere un soldo dopo essere partiti carichi di illusioni per una carriera favolosa».  Storie di questo tipo esistono in tutta Europa. A metà dello scorso decennio un’Ong francese ha pubblicato un rapporto nel quale sosteneva che nelle stazioni di Parigi bivaccavano decine di minorenni africani portati nel Paese transalpino con la promessa di provini per squadre importanti. Tutto falso. In realtà per loro iniziava una trafila molto simile a quella dei colleghi in Portogallo. Vicende di questo tipo sono comuni anche in Italia. Ragazzi africani che vengono spinti a sognare il grande calcio e poi sopravvivono a malapena nelle categorie dilettantistiche, oppure chiudono definitivamente col calcio e stentano a sopravvivere con una serie di lavoretti saltuari. Fino all’inevitabile scivolo che ha sempre il medesimo finale: il ritorno a casa dopo innumerevoli umiliazioni. Una vera e propria roulette giocata sulla pelle di ragazzini, mossa dalla speranza di agenti e dirigenti senza scrupoli che lucrano sulla vita di giocatori poco più che adolescenti per scovare un talento a basso prezzo in mezzo a promesse africane e sudamericane. Così, la Fifpro chiede alla Fifa di intervenire, perché questo stillicidio di storie drammatiche dimostra che il nuovo sistema di registrazione informatica dei trasferimenti internazionali - il Transfer matching system ( Tms) - ha delle falle.  «È una situazione molto seria. Il Tms evidentemente non riesce a monitorare tutto con precisione», ha detto  Stephane Burchkalter, segretario generale della Fifpro per l’Africa a proposito di una vicenda ancora più tragica. Una scuola calcio del Laos, legata a un club della massima divisione, ha di fatto sequestrato ventuno minorenni liberiani impedendo loro di tornare in Africa dopo essersi rifiutati di firmare un contratto troppo vincolante. Ma neanche l’Europa è immune, dietro i riflettori dei campionati più famosi del mondo che spesso diventano sirene ingannevoli per i piccoli calciatori dei Paesi poveri.
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