martedì 6 settembre 2016
Paralimpiadi al via, il sogno della portabandiera azzurra Martina Caironi
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«Scusa mi puoi passare la mia gamba?», così Martina Caironi si rivolse alla sottoscritta, la cronista accorsa a vedere la sua gara sulla pista di atletica di Imola dove erano in corso i campionati italiani del 2010. Martina amputata alla gamba sinistra a seguito di un incidente in motorino nel 2007 causato da un pirata della strada, mi era stata indicata da Carlo Scotti, presidente del Cip Emilia Romagna, come l’astro nascente dell’atletica paralimpica. Le ho passato la “gamba” - una protesi poco di più di una gamba di legno - e abbiamo cominciato a chiacchierare. Martina è davvero diventata una stella dell’atletica, oggi è nel Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle. Nella categoria T42, disabilità motorie arti inferiori, ha vinto ai Giochi di Londra 2012 la medaglia d’oro nei 100m (15’’87 record del mondo), ai Mondiali 2013 ha vinto due ori nei 100m (15’’26 e nel salto in lungo 4,25m) e ai Mondiali di Doha nel 2015 ha conquistato l’oro nei 100m con 14’’61 - prima sprinter donna a riuscirci - e l’argento nel salto in lungo. A distanza di anni dal nostro incontro, di due Paralimpiadi, di tanti record, Martina Caironi non ha smesso di essere diretta, autentica, mai banale. Anche per questo, ne siamo sicuri, è stata scelta da Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano paralimpico, come portabandiera ai Giochi di Rio. Alla cerimonia di apertura della quindicesima Paralimpiade, nella tradizionale sfilata delle squadre sarà in testa a quella azzurra sventolando il tricolore. «È un sogno di tutti gli atleti. Era anche il mio. E si sta avverando. Sono felicissima», commenta. Come è stata la strada che da Londra 2012 ti ha portato a Rio2016? «Impegnativa. A Londra gli atleti veterani parlavano di sacrifici e io non capivo. Nel percorso di avvicinamento ai Giochi di Rio ha cominciato a capire perché ho iniziato a dover fare delle scelte, delle rinunce. Per preparare questa Paralimpiade ho dovuto cambiare vita. Isolarmi per concentrarmi. Per riposare fra un allenamento e l’altro. Per questa Paralimpiade ho fatto molti sacrifici. E poi l’infortunio di febbraio…». Una gran sfortuna vero? «La cosa peggiore è che ci ho messo mesi prima di avere una diagnosi corretta. Come indossavo la protesi avevo dolore. Mi hanno detto di tutto: irritazione della pelle, allergia a una crema… Finalmente ad aprile a Pordenone hanno individuato la causa, neurologica, e mi hanno guarita». Come ti sei allenata? «A Rio fa molto caldo. Per questo in Italia mi sono allenata in pista tutti i giorni fra le 12 e le 14.30. Ho fatto anche palestra e esercizi di rafforzamento della muscolatura soprattutto per via dell’infortunio di cui si parlava prima. Arrivo ai Giochi con un allenamento che non era quello che avrei voluto. In questi mesi mi ha seguito il mio allenatore Cristian Cavina, con cui ho fatto un buon lavoro anche dal punto di vista motivazionale». A Rio ci sarà la tua storica avversaria, la tedesca Vanessa Low?«Sì. Nel salto in lungo è davanti a me. Vanessa Low, è un atleta biamputata che gareggia però, nella mia categoria T42. Ai Mondiali di Doha dello scorso anno mi ha superato, facendo il record del mondo saltando 4,79 metri. Io mi ero fermata a 4,59 m.». E nei 100 metri? «Vorrei fare una bella gara confermando il mio tempo di 14’’61, record del mondo, fatto ai Mondiali di Doha nel 2015. E dovrò vedermela ancora con Vanessa Low». Sei una grande appassionata di musica. Qual è la tua colonna sonora per Rio2016? «A Londra era stata “London Calling di The Clash. Qui a Rio si è immersi nella musica». Ora sei bolognese d’adozione, dopo essere stata spagnola per via del programma Erasmus, milanese per motivi di studio e bergamasca per nascita. «Mi sono trasferita a Bologna perché la gente vive senza stress. Ho chiesto il trasferimento dal corso di laurea in Mediazione linguistica che seguivo a Milano a quello in Lingue e mercati dell’Asia che c’è all’Università di Bologna. Passati i Giochi mi devo rimettere sotto con gli esami». Ai campionati di Imola avevi conosciuto Oscar Pistorius… «È stato un pioniere. Ha fatto tanto per tutto il movimento. Non mi sento orfana, nel 2013 ha passato il testimone per continuare a parlare di diritti, di pari opportunità. Pistorius è stata un’immagine universale, è vero. In questo momento ci sono grandi atleti che nei loro Paesi stanno lavorando molto e bene per l’integrazione». Al di là dell’aspetto agonistico, per te cosa rappresentano le Paralimpiadi? «L’essenza di quello sport che nel corso di questi anni mi ha offerto la possibilità di incontrare molta gente. Ho incontrato molti campioni, facendo l’atleta ho il privilegio di poterli osservare sui campi di gara, in cerimonie ufficiali e in situazioni meno formali. Così scopri persone meravigliose e persone antipatiche. Ecco la Paralimpiade, per me, è gara e relazioni umane ». Il 13 settembre compirai 27 anni. Forse quel giorno sarai in gara... «Gareggerò il 10 e il 17. Mi piacerebbe farmi un bel regalo, prima e dopo se è possibile…».
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