lunedì 25 maggio 2015
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Le note sono sempre quelle. Suonate e risuonate. Arrivano da un’aula. Seduta al pianoforte Galina Chistiakova prova e riprova lo stesso passaggio. Pianoforte a coda. Nero. Accanto al piano sul quale la ventottenne musicista russa suona ce ne è un’altro. Sempre a coda. Sempre nero. Aperto, il leggio pronto. E ci vuole poco perché alla tastiera si sieda Boris Petrushansky. «Quando sono arrivata a Imola, quattro anni fa, ho conosciuto il mio maestro, anche lui come me di Mosca. Mi ha accolta come una figlia. E studiare lontano da casa è stato più facile», racconta Galina. A Imola, dagli inizi degli anni Ottanta, arrivano ragazzi da tutto il mondo. Per frequentare l’Accademia pianistica internazionale. Che ha anche un’altro nome, evocativo, “Incontri col maestro”. Capisci il perché vedendo i due pianoforti. «Qui studiare significa confrontarsi, crescere insieme, allievo e maestro», racconta Franco Scala, che da sempre guida l’Accademia pianistica. «È nata in casa mia nel 1981, quando ho voluto dare la possibilità ai miei allievi del Conservatorio di Pesaro di confrontarsi con i grandi interpreti», racconta il musicista tra un’audizione e l’altra, mentre in aula Galina e il maestro Petrushansky continuano a provare. L’aula non è più in casa di Scala, come nel 1981, ma nella Rocca sforzesca di Imola, dove l’Accademia ha sede dal 1989. Quello che è rimasto intatto è lo spirito artigianale dell’insegnamento. «Mi considero uno che gestisce una bottega con giovani apprendisti istruiti da grandi maestri», racconta Scala che per scegliere gli allievi ha un solo criterio, «quello del talento. Quello vero lo capisci in cinque minuti, è un dono di natura, è la capacità di chi suona di dirti cose che altri, suonando lo stesso brano, non ti dicono».Nessun’altra caratteristica occorre per frequentare i corsi di Imola, quello pluriennale, quello triennale, il fiore all’occhiello dell’Accademia (qui occorre avere dai 20 ai 25 anni per frequentare le lezioni), e i corsi di musica da camera, direzione d’orchestra e composizione. «Una sessantina i ragazzi che ogni anno seguono i corsi di pianoforte, altrettanti quelli che frequentano gli altri percorsi», spiega il direttore artistico, Angela Maria Gidaro mentre sul palco dell’Auditorium, ospitato nel palazzo Monsignani Sassatelli, l’orchestra da camera sta provando. «Tutti i corsi sono a servizio della tastiera: i pianisti nella loro carriera affronteranno recital, ma anche concerti con le orchestre e per questo offriamo loro la possibilità di suonare le grandi pagine di Beethoven, Chopin o Cajkovskij accompagnati da una formazione sinfonica». Al pianoforte del maestro, a Imola, si sono seduti i più grandi, Maurizio Pollini, Bruno Canino, András Schiff, Rosalyn Tureck. Vladimir Ashkenazy ha scelto di fermarsi e di essere condirettore dell’Accademia. E molti allievi oggi sono passati sullo sgabello del maestro, da Enrico Pace a Igor Roma. Frequentare Imola costa circa 2mila euro l’anno. «Ma facciamo di tutto per trovare borse di studio per ridurre le spese dei ragazzi», spiega Gidaro. «Sono arrivato a Imola a 13 anni. E ci sono rimasto sino a oggi grazie a borse di studio», racconta André Gallo, venticinquenne di Cosenza. «Il peso di essere via da casa l’ho sentito dopo i 20 anni. Ma il clima familiare che si respira in Accademia mi ha reso il tutto più semplice», dice André mentre si siede al pianoforte. Perché la vita per un pianista oggi non è così semplice. «Su 10 ragazzi che ascolto 7 non potranno mai vivere solo di musica – rivela Scala –. E occorre avere l’onestà di dirlo loro per non creare illusioni. Non dobbiamo aver paura di dire dei no se non vediamo il talento. E nemmeno di dire a un allievo: “Tu hai più talento di me”. Tra i nostri studenti, 8 su 10 lavorano, ma perché hanno capito che oggi non si può essere solo concertisti. Occorre preparare i giovani ad avere rapporti con le presone, a trattare con chi organizza concerti, a proporsi nella maniera migliore». André sistema le partitura sul leggio. «Prima che come artista siamo chiamati a formarci come uomini, per questo oltre che musicisti ci prepariamo per essere divulgatori e ideatori di eventi culturali», dice il pianista mentre mostra a Scala i pezzi che vorrebbe impaginare in un ipotetico recital. «Ai ragazzi insegniamo a costruire il programma di un concerto pensando al pubblico e non stendendo una scaletta che sia punitiva per chi ascolta – sorride il direttore –. E insegniamo a stare sul palco. Con consapevolezza del proprio talento, ma anche con quella giusta dose di umiltà perché oggi è finito il tempo dei divi: i musicisti di oggi non possono chiudersi in casa a studiare e pretendere poi che una volta usciti i teatri offrano loro il grande concerto». Il vento apre una finestra della Rocca. Mentre le note che Galina suona al piano si perdono nell’aria.
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