mercoledì 2 dicembre 2015
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Sono settimane ad alta tensione per 144 televisioni locali. Lo Stato ha dato loro un ultimatum che è scaduto ieri: o restituite le frequenze “incriminate” che vi permettono di andare in onda o spegneremo in modo forzoso i vostri ripetitori. Il risultato sarà comunque lo stesso. Le stazioni del territorio dovranno ammainare le antenne nel 2016 e la provincia italiana sarà più povera di voci e di notizie. C’è chi, però, ha scelto di resistere: a colpi di carte bollate e ricorsi alla magistratura, prova a fermare un’operazione che «metterà in ginocchio o azzererà un terzo dell’emittenza locale», spiega Marco Rossignoli, coordinatore dell’associazione Aeranti-Corallo che rappresenta oltre mille imprese radiotelevisive della Penisola. E il presidente della Corallo, Luigi Bardelli – che è anche imprenditore televisivo con la sua Tv Libera Pistoia – va giù duro: «È una vigliaccata. Il premier Matteo Renzi e il sottosegretario alle comunicazioni, Antonello Giacomelli, ci hanno più volte garantito che nessuna emittente locale si sarebbe spenta. Adesso, invece, decine rischiano di non poter più trasmettere». L’Aeranti-Corallo stima un danno economico di 700 milioni di euro. E in bilico ci sono 2mila posti di lavori.La “teleghigliottina” è un tipico esempio di caos all’italiana e ha al centro le frequenze che consentono alle reti di arrivare nelle case della Penisola. Con il passaggio al digitale terrestre, nel 2011, lo Stato riordina l’etere tv. Ma, quando si tratta di ridistribuire gli spazi, assegna alle tv locali quelle frequenze che, sulla base degli accordi internazionali firmati anche dall’Italia, sono riservate ad altri Paesi. Così le stazioni ricevono canali “irregolari” che oscurano o disturbano le trasmissioni tv in Croazia, Slovenia, Francia, Malta, Svizzera e San Marino. Col risultato che l’Italia si trova invischiata in un contenzioso internazionale di cui «l’unico responsabile è lo stesso Stato italiano», afferma Bardelli. La via d’uscita che il governo mette a punto è una: liberare l’intero pacchetto di canali che producono interferenze all’estero. Tutti nelle mani delle tv del territorio (e non dei grandi e potenti network nazionali). Nella lista nera finiscono 76 le frequenze spalmate in dodici regioni, in gran parte affacciate sull’Adriatico: dodici frequenze in Puglia e Marche, dieci in Molise e Abruzzo, nove in Friuli, otto in Veneto, cinque in Emilia, quattro in Sicilia, due in Liguria e Toscana, una in Lombardia e Piemonte. Dal momento che ogni frequenza può essere suddivisa a livello regionale in più spicchi e occupata da reti differenti, le tv su cui potrebbe calare il sipario sono 144. La situazione più drammatica è in Puglia dove le stazioni in pericolo sono ben 31. Altrettanto complesso il quadro in Abruzzo (22 reti interessate), Molise (16 stazioni), Marche e Veneto (15 emittenti a rischio black-out in entrambe le regioni). Il governo vara la “rottamazione” dei canali e stanzia 50 milioni di euro: le tv possono liberare in modo volontario gli spazi, ricevendo un indennizzo. Peccato che l’iter non abbia nulla di volontario (le reti dovranno comunque disattivare gli impianti) e le somme che riceveranno sono irrisorie: una tv della Sicilia “vale” 180mila euro o una del Molise 90mila. Ieri era l’ultimo giorno per presentare le domande “spontanee” al ministero dello Sviluppo economico che, secondo Giacomelli, sta puntando a «riportare l’Italia nella legalità internazionale» e a «dare più certezze alle tv locali che intendono investire». Contro la procedura si è schierato il gruppo siciliano dell’Unione nazionale dei cronisti italiani che ipotizza «pesanti ripercussioni sul diritto all’informazione» e ha denunciato «apprensione e incertezza fra giornalisti e tecnici».L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni annuncia che metterà a disposizione nuovi canali. Le televisioni senza frequenze possono costituire consorzi per ottenerli; tuttavia non ci sarà posto per tutte. Secondo governo e Agcom, tre dei canali nazionali inseriti nel controverso ex beauty contest gratuito ideato dall’esecutivo Berlusconi andranno alle tv del territorio, ma anche a quelle nazionali. «È prioritario che siano assegnati alle locali», sostiene Bardelli. E Rossignoli precisa: «Le tre frequenze sono di scarsa qualità o passeranno presto alla telefonia mobile». Insomma, una pezza malandata. Le emittenti “oscurate” potranno affittare spazi dalle reti concorrenti per farsi portare fin dentro le abitazioni. «Ma tutto ciò obbligherà le famiglie a risintonizzare i televisori. E per settimane o mesi le tv scompariranno dagli schermi», avverte il coordinatore dell’associazione.Intanto numerose televisioni si sono rivolte ai giudici. Il Tar del Lazio ha già accolto il ricorso di “Radiotelevisioni europee associate” che smonta un passaggio del decreto “rottama frequenze”. E decine di istanze, fra cui quelle della pugliese Tele Dehon e della toscana Tvr-Teleitalia, devono essere discusse di fronte ai magistrati amministrativi. «Le frequenze accusate di alimentare le interferenze sono molte meno di 76 – chiarisce Rossignoli –. E in alcuni casi è provato che le tv locali non producono disturbi all’estero. Sarebbero bastati alcuni aggiustamenti tecnici per evitare di arrivare all’attuale scompiglio». TELE DEHON: «Decisioni ingiuste. Facciamo obiezione di coscienza»«Proveremo a resistere». Padre Francesco Giuseppe Mazzotta, direttore di Tele Dehon, sceglie la via dell’obiezione di coscienza. «Contro disposizioni che riteniamo ingiuste ed eticamente sbagliate», sostiene. L’emittente pugliese, espressione della Provincia italiana meridionale dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, più conosciuti come padri dehoniani, è una delle 31 stazioni della regione che dovranno restituire i canali tv su cui vanno in onda. «Il governo ci chiede la “dismissione volontaria” delle frequenze – spiega il religioso –. In realtà non c’è nulla di volontario. È un obbligo che ha una sola conseguenza: la chiusura della televisione. E noi non vogliamo chiudere». Per questo la stazione si è rifiutata di aderire alla procedura dell’esecutivo Renzi che consente di avere indennizzi per le frequenze liberate. «Se lasciamo i canali, non potremo più trasmettere – osserva padre Mazzotta –. L’emittente è nata nel 1978. Diffonde il suo segnale in Puglia, Basilicata, Calabria, parte del Molise. E ha un’unica missione: diffondere il Vangelo attraverso il piccolo schermo. Possiamo rinunciare a un impegno che non ha nulla a che vedere con il business?». La frequenza che la rete si è vista assegnare dallo Stato crea interferenze in Dalmazia, almeno sulla carta. «Non si capiscono le ragioni tecniche dei disturbi, vista la distanza con la Puglia». L’emittente è in fibrillazione. «I giornalisti e i tecnici sono preoccupati. Spegnere gli impianti vuol dire anche cancellare posti di lavoro. E temo che ci sia qualcuno che intenda sfruttare questa situazione per fare soldi». Tele Dehon si è già rivolta al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato per fermare l’operazione. «Intanto andiamo avanti. Ci affidiamo alla magistratura perché faccia giustizia». FANO TV: «Lo Stato è come Totò. Pronti a chiudere tre canali»«Lo Stato si è comportato come Totò che vende la Fontana di Trevi a Roma: ha assegnato frequenze che, secondo gli accordi internazionali, non gli appartenevano. E adesso ci dice: ho sbagliato, dovete restituirle». È amareggiato Marco Ferri, editore e direttore di Fano Tv. «Anzi, sono frustrato e arrabbiato – aggiunge –. Il governo dovrebbe aiutare chi fa impresa e per di più offre un servizio alla gente. Invece alle emittenti locali ha messo sempre i bastoni fra le ruote». La sua stazione trasmette nelle province di Pesaro-Urbino e Ancona e occupa un canale “riservato” alla Croazia. «Non ho mai ricevuto lettere di protesta dall’altra parte dell’Adriatico. Significa che la nostra tv non crea interferenze», precisa Ferri. Però l’esecutivo ha stabilito che quella frequenza vada liberata. «Di fatto ci è stato dato uno spazio nell’etere che lo Stato non poteva concedere», sostiene Ferri che per realizzare il suo sogno di mettere su una televisione si è licenziato da Mediaset. Adesso dà lavoro a otto dipendenti. «Ho cercato di fare una tv di qualità. E, di punto in bianco, mi viene imposto di spegnere i ripetitori». Fano Tv ha aderito all’iter di “rottamazione” delle frequenze. «Riceveremo un indennizzo piccolissimo per la restituzione del canale», chiarisce l’editore. La conseguenza sarà che solo Fano Tv resterà in vita, mentre scompariranno dagli schermi Pesaro Tv, Voce cristiana e Fano Tv eventi. «Riconsegnando la frequenza – osserva Ferri – dovremmo trovare qualche operatore di rete che trasporti il nostro segnale. Il problema è il costo. Si dice che l’affitto medio di uno spazio nelle Marche sarà di almeno 6mila euro al mese: una somma insostenibile per i nostri bilanci che ci porterebbe davvero alla chiusura».
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