martedì 9 ottobre 2012
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​E pensare che la Disney nel 1984 lo licenziò perché il suo cortometraggio live action Frankenweenie, che in 35 minuti anticipava personaggi e ambienti di tutto il suo cinema a venire, era considerato troppo dark. Sostanzialmente inadatto ai bambini. «Walt non avrebbe mai approvato…» era la tipica frase con cui bocciavano le sue idee nella Major di Topolino. Eppure i cartoon gotici di Tim Burton, da Nightmare Before Christmas a La sposa cadavere, che pure non sono adatti ai più piccoli, ai bambini piacciono per la struggente, malinconica poesia di cui sono intrisi fino all’ultimo fotogramma. Diciotto anni dopo il 54enne Burton, che nel frattempo ha abbandonato California, troppo assolata, per trasferirsi nella piovosa Londra, dove vive con la moglie Elena Bonham Carter, madre dei suoi figli, ha ripreso in mano quel ragazzino, Victor, capace di riportare in via il cagnolino Sparky investito da una macchina per realizzare questa volta un lungometraggio di animazione a passo uno, vale a dire a pupazzi animati, in bianco e nero e in 3D che domani inaugurerà la 56esima edizione  del London Film Festival. Prodotto, ironia della sorte, proprio dalla Disney e realizzato negli studi londinesi di 3 Mill da noi visitati, dove straordinari artigiani hanno ricostruito in tre teatri di posa settantacinque set in miniatura, zeppi di piccoli arredi e oggetti che danno forma alle visioni del regista, il nuovo Frankenweenie può contare su un centinaio di pupazzi, piccoli gioielli di ingegneria meccanica nati da minuziosi disegni dello stesso Burton e formati da uno scheletro di metallo che consentono anche i più piccoli movimenti. Vengono poi ricoperti da morbida gommapiuma, dipinta e rivestita di piccoli abiti e parrucche. Un secondo di film richiede anche tre giorni di lavorazione. La storia del film è ormai piuttosto nota: nel suo laboratorio in soffitta Victor ha appena scoperto come resuscitare il suo amico a quattro zampe e vorrebbe che questo rimanesse un segreto. Ma i suoi amici finiscono per scoprirlo e ognuno di loro ricrea il proprio mostriciattolo domestico che diventa però lo specchio della mostruosità dei rispettivi creatori. All’origine di tutto c’è naturalmente uno dei classici della letteratura e del cinema horror, ovvero Frankenstein. «Ero un bambino quando ho visto il film – dice Burton divertito – e i mie genitori erano molto preoccupati perché non ero affatto spaventato. Mi stava a cuore riflettere sull’idea che quello che crei può essere buono o cattivo, perché è l’emanazione della tua personalità. Sparky è l’unica creatura rinata dall’amore». E Sparky, il cui scheletro comprende una cinquantina di giunture, è stato senza dubbio il personaggio più difficile da animare. Tra gli ambienti più affascinanti invece il cimitero degli animali e la tipica casa dei sobborghi americani con prato, piscina e barbecue. «Nella mia cittadina che ho battezzato New Holland -–spiega il regista – abbiamo ricostruito gli oppressivi sobborghi californiani degli anni Sessanta e Settanta, quelli che ho vissuto da bambino e adolescente e che continuano a ricorrere nei miei incubi, non solo cinematografici. Ambienti tutti uguali e senza stagioni, apparentemente tranquilli, ma tra quelle serene mura domestiche, tra l’erba di giardini perfetti trovano spazio emozioni violente. Ad inquietarsi sin da bambino, ed io ero un bambino piuttosto solitario, alieno e incompreso, è sempre stato il contrasto tra i luoghi e le persone, il fatto che spesso è proprio l’impeccabile tranquillità a generare mostri. Vi assicuro che a guardare la scuola di New Holland, che tanto assomiglia a quella che frequentavo a Burbank, mi vengono i brividi». Non sfugge poi una delle grande sfide del film: abbinare il modernissimo 3D a una tecnica vintage come quella della stop motione proporre al pubblico dei più giovani un film in bianco e nero. «Può sembrare una follia – ammette Burton – ma la tecnica e lo stile del film devono essere coerenti con la sua storia e questa storia non poteva che essere realizzata con i pupazzi animati. E il 3D aiuterà il pubblico a entrare con più facilità nel nostro mondo. Il bianco e nero inoltre potrebbe essere per i bambini una nuova, fantastica scoperta».
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