giovedì 24 luglio 2014
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L’orrore della guerra raccontato in maniera inaspettata, a partire dal primo capitolo del crudo e doloroso romanzo di Ágota Kristóf, Trilogia della città di K. (gli altri due sono La prova e La terza menzogna), che racconta come la violenza possa trasformare le vittime in carnefici e cancellare ogni traccia di innocenza anche in un bambino. In competizione a Giffoni, destinato ai ragazzi dal 18 ai 25 anni, arriva Il grande quaderno diretto dell’ungherese János Szász (sarà distribuito anche in Italia dal 23 ottobre) che smussa le asperità del libro, ma conserva la cupa atmosfera e il senso di tragedia che incombe sui protagonisti. Verso la fine della Seconda guerra mondiale, quando le città sono massacrate da raid aerei e carestie, due gemelli preadolescenti (gli attori non professionisti Lászlo e Andreás Gyémánt) vengono abbandonati dalla madre in campagna, dalla nonna, una donna brutale che tutti chiamano «la strega», sospettata di aver ucciso il marito e costretta a ospitare nella sua lurida casa anche un ufficiale tedesco. La difficile convivenza li condurrà a una triste consapevolezza: l’unico modo per affrontare la ferocia degli adulti e della guerra è diventare insensibili e spietati. Liberandosi da fame, dolore e passioni, saranno in grado di sopravvivere ai disagi futuri. Iniziano così la loro formazione temprando lo spirito con la lettura della Bibbia e impegnandosi a rafforzare il corpo e la mente. Ignorano gli insulti, si frustano a vicenda, si tengono alla larga da sentimenti ed emozioni. Tutto quello che vivono e di cui sono testimoni viene annotato in un grande quaderno con prosa asciutta, precisa, oggettiva, senza cedimenti emotivi. Il loro spietato allenamento giungerà fino a trasformarli in assassini. Unico obiettivo: continuare a vivere, a qualunque costo.«Il grande quaderno è un film sulla guerra – commenta il regista – in cui non assistiamo a nessuna scena di guerra, una storia crudele di bambini innocenti, ma che resistono a tutto. Il racconto di due gemelli assassini, due corpi e un solo spirito, una sola anima e volontà. Parlano allo stesso modo e finiscono l’uno le frasi dell’altro, sono sempre in sintonia. Un fratello pensa a qualcosa e l’altro la attua. Quando uccidono, è un atto di giustizia. In fondo non fanno che obbedire alla madre che prima di lasciarli ha chiesto loro di continuare a imparare e a vivere. E loro imparano la crudeltà necessaria per non morire. La loro morale cambierà inevitabilmente e niente potrà essere mai più la stessa». Nel film mancano anche molte delle crudeli esperienze vissute dai ragazzini nel libro, come le molestie subite dall’ufficiale nazista e la durezza dell’allenamento al quale si sottopongono i due fratelli. Gli orrori più irrappresentabili sullo schermo vengono allora sintetizzati attraverso i disegni che i bambini fanno sul loro quaderno e momenti di animazione che mettono in scena morte e distruzione. Allontanandosi dal realismo, cioè, e adottando la cifra del fantastico per raccontare lo straziante conflitto tra l’infanzia e il mondo adulto. «È stato molto difficile trovare due ragazzini che potessero reggere sulle proprie spalle un ruolo così difficile – aveva poi dichiarato il regista al Festival di Karlovy Vary, dove Il grande quaderno ha vinto il premio per il miglior film – ma abbiamo avuto la fortuna di poter contare sull’aiuto della stessa Kristof che ha molto amato la sceneggiatura e ci ha sostenuto sin dall’inizio. E la cosa ci ha reso felici, dal momento che è della sua vita che stiamo parlando. Anche se non c’è bisogno di un film per capire che la storia continua a ripetersi».
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