giovedì 19 marzo 2015
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Madre Emanuela della Madre di Dio, priora del Monastero delle carmelitane scalze di Milano, il Convento di Santa Teresa di Gesù Bambino, parla piano e sorridendo. Conosce del mondo una profondità che pare ignota a noi, che pure non viviamo in clausura e siamo giunti al convento scoprendone il silenzio fra troppi condomini alveare e i casermoni avveniristici, a dirla tutta un po’ inquietanti, della vecchia Fiera di Milano. Fino all’ingresso nel parlatorio però pensi che il futuro sia lì, nella metropoli che si prepara all’Expo. Poi incontri madre Emanuela e capisci quanto lontano sia il vero centro del mondo: e c’è una cosa, soprattutto, che colpisce. È vero che si celebrano i 500 anni dalla nascita di santa Teresa d’Ávila riformatrice delle carmelitane scalze e un importante quanto pudico evento artistico quasi s’imponeva. Però questo evento sarà anche l’unico che, mentre discografici ed editori rifuggono dal far cultura musicale, ricorderà la cantante Giuni Russo a dieci anni dalla morte. Giuni non era carmelitana, beninteso: però aveva abbracciato la fede proprio nel Carmelo, con cui aveva un rapporto profondo. Si disse «Carmelitana d’amore» e tale ora le carmelitane la riconoscono. Tanto da essere state loro, priora in testa, a voler organizzare a proprie spese l’omaggio a Giuni in testimonianza di santa Teresa. E parlando con la madre è chiaro il perché: solo dentro un mondo diverso, di silenzio e riflessione, pesano in maniera differente certe parole svilite dalla vita di oggi come cultura. Che non ti aspetteresti fosse fatta, organizzando concerti, da monache di clausura.Madre, quando conobbe Giuni Russo?«A metà anni ’90. Telefonò per avere il testo esatto della poesia “Desiderio del cielo” di santa Teresa, da cui poi venne la canzone Moro perché non moro che volle farci ascoltare».Come visse Giuni Russo il rapporto con la fede?«Era molto riservata, ma cercava l’essenziale. Per questo con santa Teresa si trovò: aveva spiritualità affine a quella del Carmelo, intensa, vera, aperta agli altri. Nonché femminile. E moderna».Quale lezione della Santa era centrale, per Giuni?«Direi l’amore per il Signore. Non pensi sia una risposta banale: lei ci accompagnava a dei corsi spirituali e un giorno disse proprio: “Sono innamorata di Gesù”. Con tale forza da escludere fosse un bel concetto e basta. Fu quell’amore che la sostenne nella malattia e nell’affrontare il trapasso».Cosa ricorda di quel tormentato periodo?«La telefonata in cui mi comunicò la diagnosi del tumore. Aggiungendo che, se il Signore le avesse concesso ancora degli anni, li avrebbe spesi al meglio. Altrimenti, fosse fatta la Sua volontà. Fu lucidissima fino alla fine, pur in momenti di enorme dolore fisico. Ricordo anche quando, a Bergamo, disse al professore di non accanirsi: poi restammo sole a meditare, finché non accettò l’idea della morte».Giuni è sepolta nel vostro cimitero…«Come fosse nostra sorella, sì. Ce lo chiese e siamo state ben contente. Non c’è nulla di straordinario».Non ha mai visto in lei contrasti fra una fede forte e doverla vivere nel mondo dello spettacolo?«Aveva già fatto scelte, dolorose, prima che la incontrassi. Cercava la “Verità” in un cantare che era sempre spirituale, anche quando non lo esplicitava».Che testimonianza di fede lascia Giuni Russo?«Comunica fede nelle canzoni, anche a chi non la conosceva. È molto forte la sua vicinanza a chi fa fatica, e lo vedo spesso. La sua musica aiuta, non è solo estetica ma profondità che viene riconosciuta».Comunque colpisce, che siate voi carmelitane a organizzare il principale evento in suo ricordo.«Volevamo celebrare il Giubileo mondiale della Santa con qualcosa di nostro. E di nostro c’è la Giuni!»Lei sa che quando un cantante dichiara la fede cristiana spesso ci sono sorrisi ironici, intorno?«Non mi meraviglia. Però creda, a volte si sorride perché sono professioni di fede sopra le righe. Se la fede è profonda e coerente, non ne riderà nessuno».Non pensa comunque che ci siano troppi uomini e donne di spettacolo che parlano e scrivono di fede?«Farei qualche riserva, sì. La fede è un incontro che bisogna capire se mette radici. A volte c’è affettazione, certi libri me li hanno portati ma non riesco a leggerli… Ma noi carmelitane siamo austere».Può essere controproducente una fede esibita sotto i riflettori di qualche show, tipo suor Cristina?«Controproducente forse no. Certo esibirla non era lo stile di Giuni, e certe cose lasciano il tempo che trovano. In Francia negli anni ’60 vendevano milioni di dischi padre Duval e suor Sorriso. Però i superiori non li incoraggiavano, anzi: suor Sorriso, esclusa dal suo ordine, alla fine si uccise. La fede non si può sposare con il successo terreno».
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