giovedì 29 gennaio 2015
​Il "frate tenore" racconta il suo ingresso nel mondo musicale.
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​Alla fine dell’intervista fra Alessandro non resiste. Nella stanza c’è un piccolo clavicembalo ed è naturale per lui intonare un’aria del Settecento. «La musica per me è bellezza, è armonia, è preghiera; è il riconoscere la proporzione naturale che Dio ha posto nella creazione». Fra Alessandro Brustenghi è ormai un personaggio di fama internazionale. I suoi dischi sono venduti in tutto il mondo. I concerti della “voce di Assisi” si susseguono incessantemente nelle maggiori capitali europee. Ma basta qualche minuto in sua compagnia per incontrare il cuore di un ragazzo umbro che ha scelto di servire Dio nella via di san Francesco e attraverso il canto. «Quando la gente mi esalta, provo quasi un’umiliazione. Nella verità di me stesso ho costantemente davanti a me vizi, peccati, difficoltà, i limiti. Nonostante le mie piccolezze, il servizio mi permette di incontrare tanta gente. Perché questa è la nostra missione: l’incontro e il dialogo».Fra Alessandro, ma perché un ragazzo del 1978 sceglie di farsi frate?«Il Signore è entrato nella mia storia da adolescente, quando avevo sedici anni. Prima vivevo una condizione non dico di ateismo, ma certamente di idealismo personalizzato. Al centro di tutta la mia vita non c’era Dio, ma il mio io. La conversione e la vocazione sono avvenute in un tempo abbastanza ravvicinato. Dopo aver scoperto la presenza di Dio, il desiderio di donarmi completamente a Lui è maturato nel giro di pochi mesi. E la vocazione ha preso concretezza a mano a mano che mi avvicinavo alla figura di Francesco. Fino a diciassette anni non conoscevo praticamente nulla dei frati minori. Poi ho visto il film Francesco della Cavani, quello dove il protagonista è Mickey Rourke. Un’opera che tutto voleva essere tranne che propaganda religiosa. Ma io ne sono stato toccato... La mia vocazione è maturata grazie una serie di incontri che potrei chiamare “Dio-incidenze”, le coincidenze di Dio, entrate piano piano nella mia vita». La passione per la musica ti ha accompagnato sempre, sin da bambino, oppure è stata una scoperta successiva?«Avevo nove anni quando ho iniziato a studiare musica. Ero stato folgorato da due figure per me diventate fondamentali: Bach e Michael Jackson. Sembrano mondi distanti. Ma agli occhi di un bambino la musica è musica. E Bach e Michael Jackson non sono in contrasto. La musica, ancora oggi, mi piace tutta».Nel momento in cui hai deciso di abbracciare la vita religiosa, qual è stata la reazione della tua famiglia?«I miei genitori non erano credenti. Quando ho detto loro della mia intenzione, è stato un disastro. Così per due anni non ne ho più parlato, anche su consiglio del mio direttore spirituale. I miei alla fine si erano convinti che io avessi abbandonato l’idea. Poi però, a ventun anni, ho deciso di lasciare tutto ed entrare in convento. Per i miei è stata dura».Perché la scelta del francescanesimo piuttosto che altre?«Perché Francesco è entrato nella mia vita. Quando si incontra una persona non c’è mai un motivo, è sempre un disegno di lassù. Francesco mi è venuto incontro. Ma è stato Dio che mi ha salvato dalla fossa, donandomi la sua grazia. Ero in una fase buia perché non c’era più nulla, non valeva più la pena nemmeno di vivere in questo modo. È entrato lui e mi sono riscoperto, ho scoperto la verità. È come se mi fossi svegliato da un incubo e mi fossi riconosciuto».I momenti di crisi non sono pero mancati…«Dopo tre anni di vita religiosa, ho avvertito il bisogno di ritirarmi nel lavoro. Avevo in mente una forma quasi eremitica di consacrazione e l’idea di mantenermi lavorando il legno, che è la mia passione. Avrei avuto la possibilità di fare concerti, di lavorare anche con la musica e avere momenti anche molto intensi di preghiera... I miei superiori non erano d’accordo: dicevano che secondo loro era una tentazione. Io però ero convinto che fosse una vera chiamata di Dio e ho abbandonato il convento. Dopo qualche mese mi sono accorto che i miei superiori avevano ragione in pieno... Il colpo è stato duro, ma salutare. E alla fine il Signore mi ha dato la forza di chiedere di riprendere il cammino francescano».Oggi sei noto come la “voce di Assisi”. Quando scopri il dono del canto?«Cantavo nei cori. La voce non mi mancava, ma non è che avessi un gran dono. Sono entrato al conservatorio per scherzo, perché c’era bisogno di un’iscrizione per completare la classe di un’insegnante mia conoscente. Ho cominciato a studiare anche canto, ma non avevo voce. Da buon organista mi piaceva la musica barocca: Bach in testa. Volevo fare il tenore leggero. Ma per due anni è stata dura. Non usciva fuori nulla. Alla fine è venuta fuori questa voce che nessuno si aspettava, del tutto opposta a quella che volevo io».Come avviene il tuo percorso verso il successo? E come lo vivi da frate?«Durante gli anni trascorsi fuori dal convento, ho proseguito i miei studi di canto. Ho fatto tanti concerti e tanta formazione. Poi, avendo ripreso gli studi di teologia, ho interrotto per circa sei anni. Ho ripreso a fare concerti nel 2010, grazie ai miei superiori che me ne hanno dato la possibilità. Durante uno di questi concerti, sono stato notato da un collaboratore della casa discografica Decca, che ha voluto ascoltarmi e mi ha subito proposto la registrazione di un cd. Ero molto perplesso. Ne ho parlato con i superiori e i confratelli. Tutti mi dicevano la stessa cosa: “Guarda che può essere una grande occasione di evangelizzazione. Forse è Dio che ti sta affidando una missione”. Nessuno immaginava però un successo tale. Non sono una persona che ama la popolarità».Come scegli il repertorio musicale?«Nei concerti mi chiedono generalmente musica sacra. Prima di diventare frate non avevo mai cantato questo genere. Mi esibivo con arie d’opera, canzoni napoletane, canzoni italiane... Oggi propongo un percorso tematico: la Vergine Maria, l’Eucaristia, la gloria dei santi, il perdono, la redenzione. Non ho grandi programmi per il futuro: ascolto. Sono in ascolto. Quel che mi viene chiesto faccio, nei limiti della volontà di Dio e dei superiori».Sempre in tema d’incontri, ad un certo punto arriva la Terra Santa…«Confesso. La Terra Santa arriva come una proposta della casa discografica. Io non ci ero mai stato, non avevo mai viaggiato, preso un aereo prima di allora. Dopo il successo del primo cd, per il secondo la Decca mi ha chiesto di registrare in Terra Santa. a Betlemme. Sono stato felicissimo, perché grazie alla casa discografica ho fatto il mio primo pellegrinaggio in Terra Santa, nel 2013. Cinque giorni, di cui uno in pellegrinaggio a Gerusalemme. Un’esperienza indimenticabile».

Come hanno agito le “Dio-incidenze” in quel contesto?«Appena arrivati, l’impatto con la Terra Santa è particolare. Cogli subito che la situazione politica e sociale non è facile. Chi ti aiuta è la gente perché appena cominci a conoscere qualcuno, immediatamente senti un legame unico e particolare e capisci che le persone sono veramente belle! Arrivato a Betlemme, mi ha fatto quasi piangere il muro di separazione che... non ci deve essere. E il vedere come l’accettano gli abitanti di Betlemme è stato commovente. Poi ti rendi contro che c’è qualcosa di più in quel luogo e ti rendi conto che è casa tua, perché lo spirito di Cristo parla. Ho potuto partecipare alla processione quotidiana alla Grotta. Abbiamo ottenuto il permesso di registrare nella Grotta il video di Tu scendi dalle stelle. Ho fatto la scelta di tenere tra le braccia la statua di Gesù Bambino, l’ho chiesto io perché mi sembrava una cosa molto tenera».A quando il prossimo viaggio?«Non so. Ma è uno di quei luoghi per i quali se mi dicessero: “Partiamo tra cinque minuti, vieni?”, risponderei subito di sì. Quella è casa nostra, senza ombra di dubbio».

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