martedì 25 novembre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Il sogno e la metafora per raccontare e “giudicare” in teatro la violenza contro le donne, usando come pretesto le novelle di una moderna Sherazade che vuole sottrarre il mondo dalla barbarie. Il tentativo della compagnia del Teatro del Carretto di Lucca provoca, spiazza, sconcerta la platea e scalfisce anche le più ottuse resistenze maschili sui confini tra voglia e paura e su una presunta superiorità di genere. E lo fa in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere che cade oggi. Perché Le mille e una notte, in scena alla Sala Fontana di Milano fino al 30 novembre, funziona come un baleno che riaccende il lume fumigante della speranza. Una dentro l’altra si incastrano shakespearianamente, legate a filo doppio dalla narratrice, le storie di tradimenti, abusi e abiezioni desunte dalla mitologia, dalla letteratura cavalleresca, dalla drammaturgia classica: Otello e Desdemona, Minosse e il Minotauro rinchiuso nel labirinto, Narciso che ama solo se stesso, Eros e il dominio delle passioni, la follia cieca di Orlando per un’Angelica che non vuole essere sua. Ma anche le macabre cronache dell’attualità sulle centinaia di migliaia di donne uccise, torturate, seviziate ogni anno in varie parti del mondo concorrono a questo affresco dalle tinte forti che non risparmia di denunciare con ironia i soprusi della comunicazione e la ricerca del morboso per fare ascolti in tv, aggiungendo così abuso ad abuso. Favole nere, musica lirica e tragica realtà si aggrovigliano in un identico grumo di dolore: la ragazza dai capelli d’oro uccisa dal figlio del carbonaio, il ricordo agghiacciante dei visi spaccati sul marmo del salotto, una pistola puntata alla tempia e persino, evocata dalla sontuosa ouverture bizetiana, l’ira di Don José che uccide la zingara Carmen, colpevole solo di avergli preferito Escamillo. Cose che accadono quando l’uomo ha smarrito se stesso. Non scorre il sangue sul palco, solo polvere rossa, ma il pubblico è aggredito dai fatti e misfatti che si susseguono, da rumori taglienti e spari improvvisi, dal grammelot animalesco che si unisce alle urla strazianti della donna contorta e violata (una struggente Elsa Bossi), dalla primordiale nudità esibita nella simulazione del Minotauro in cui si incarnano l’uomo e la bestia. Non tutte irruzioni necessarie, forse, alla resa emotiva dello spettacolo, ma che aiutano di certo alla catarsi attesa con tensione dallo spettatore. L’arte del raccontare gli orrori e lo scempio senza moralismi può frenare la strage, scavando nelle coscienze: sembra questo il messaggio che l’autrice e regista Maria Grazia Cipriani, con un testo di versi e prosa imbastiti con ritmo tra luci ed ombre caravaggesche, ha voluto comunicare agli spettatori. Scuotendoli, invitandoli a resistere e a rilanciare con un pensiero, una riflessione, un giudizio. La scena (di Graziano Gregori) è spoglia, quasi surreale: solo un armadio bianco “quattro stagioni” con dentro i teschi e le scarpe delle femmine strappate alla vita dalla ferocia di una belva con le sembianze di un uomo, o da un irrefrenabile impulso omicida travestito da amore vero. Bravi gli attori Giacomo Vezzani e Nicolò Belliti nei loro ruoli guappeschi e tribali, con i tratti da figurine tragicomiche dei cartoon. Grande polifonia nell’insieme, amalgama dei personaggi. E la speranza? Sta nelle note del carillon che suona l’Ave Maria di Schubert a ricordarci della donna madre e sposa, mentre ruotano su se stesse le due candide bamboline-simbolo sul limitare del boccascena. Sta nelle parole di quel Grazie alla vita della cilena Violeta Parra, un inno alla speranza e all’amore, una canzone che ci riporta al significato stesso dell’esistenza, che ha senso solo se sorretta dalla presenza di Dio. Sta nella poesia di Alda Merini, un grido di dolore e verità che cerca di unire i due “universi” voluti dal Creatore, i versi che concludono la pièce: «O donne povere e sole, violentate da chi non vi conosce... Mangerete polvere, cercherete di impazzire e non ci riuscirete, avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due. Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: