lunedì 23 febbraio 2015
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​Arretrati per quasi 10 milioni di euro. È il debito che le fondazioni liriche italiane hanno nei confronti degli artisti, in particolare dei cantanti. Debiti per via del mancato pagamento dei cachet delle ultime tre stagioni. A lanciare l’allarme è l’Ariacs, l’Associazione dei rappresentanti italiani di artisti di concerti e spettacoli. «Al 31 ottobre dello scorso anno il credito degli artisti da noi rappresentati ammontava a 2 milioni 518 mila e 600 euro. Ma la cifra può essere moltiplicata per quattro considerando che nei nostri teatri non operiamo solo noi agenti italiani, ma anche importanti agenzie straniere e alcuni rappresentanti che non aderiscono alla nostra associazione» dice il presidente dell’Ariacs, Giuseppe Oldani. Una situazione che si protrae da anni e che i teatri non negano additando i mancati pagamenti ai ritardi con i quali gli enti locali e lo Stato versano i contributi alle fondazioni liriche. Ma non solo. «Un anno fa eravamo sull’orlo del fallimento poi la legge Bray e la presentazione del nostro piano industriale approvato dalla Corte dei conti a ottobre 2014 hanno fatto sì che gli aiuti erogati in cambio della promessa di bilanci in pareggio entro tre anni dessero ossigeno alle nostre casse» fanno sapere dal Maggio musicale fiorentino, fondazione che, avendo chiesto di accedere agli aiuti governativi, ha l’obbligo del pareggio di bilancio entro il 2016. A Firenze (così come nelle altre quattro fondazioni il cui piano industriale è stato approvato dalla Corte dei conti, ovvero Verdi di Trieste, Comunale di Bologna, Opera di Roma e San Carlo di Napoli) i soldi sono arrivati e si sta cercando di onorare i debiti pregressi. «Il Maggio musicale ha ritardi di nove mesi per il 2014 e per quel che riguarda i mancati pagamenti del 2013 ha dato mandato ad una società esterna di rinegoziare i debiti» spiega Oldani, tracciando una mappa dei teatri italiani. Anche il Carlo Felice di Genova, passato attraverso commissariamenti e spesso a rischio fallimento, «presenta ritardi di oltre un anno anche nei confronti di giovani artisti scritturati a cachet minimi, mentre il Lirico di Cagliari ha ritardi sulle ultime produzioni e non ha ancora saldato artisti che avevano deciso di interrompere azioni legali intraprese per ottenere i pagamenti a fronte di rassicurazioni su immediati pagamenti». Perché nel corso del tempo molti cantanti hanno deciso di intraprendere azioni legali nei confronti di alcune fondazioni liriche ottenendo dal giudice decreti ingiuntivi ed aggravando così i bilanci dei teatri condannati a pagare spese legali ed interessi passivi. Difficile, racconta il presidente di Ariacs la situazione anche al Comunale di Bologna e al Verdi di Trieste. E se Il Regio di Torino, l’Arena di Verona e l’Accademia nazionale di Santa Cecilia erano puntuali nei saldi, da qualche tempo stanno accumulando ritardi. Un quadro nel quale, però, non mancano le situazioni virtuose: il Teatro alla Scala di Milano, la Fenice di Venezia e il Massimo di Palermo risultano puntuali nei pagamenti e rispettosi delle scadenze inserite nei contratti. «Non è semplice, ma ci proviamo» dice il sovrintendente della Fenice Cristiano Chiarot spiegando come «l’equilibrio che abbiamo raggiunto è dovuto al fatto che copriamo i costi artistici con gli ingressi della biglietteria. Per il resto cerchiamo di essere accorti negli investimenti, di fare coproduzioni e di sfruttare al massimo gli allestimenti che realizziamo». Il nodo resta quello dei tagli al Fus che, spiega Chiarot, «colpisce tutti e costringe a rivedere i programmi in corso d’opera. Ma l’equilibrio economico oggi è l’unica salvezza per i nostri teatri». Fondazioni come il San Carlo di Napoli, sino a qualche mese fa in arretrato con i pagamenti, si stanno rimettendo in pari. «Da dicembre, grazie al decreto Valore cultura, abbiamo iniziato a saldare i nostri debiti così come previsto dal piano industriale che abbiamo presentato per il risanamento del teatro» spiega Rosanna Purchia, sovrintendente del teatro partenopeo. I ritardi accumulati dal San Carlo sono imputabili ai mancati trasferimenti statali perché «noi abbiamo scadenze di pagamento a 30 giorni, ma riscuotiamo i contributi con 12 mesi di ritardo» continua la sovrintendente che, ringraziando gli artisti che «hanno capito il momento di difficoltà per le fondazioni e hanno deciso di non abbandonare i nostri teatri», auspica che «ora si possa trovare una regolarità nell’erogazione dei contributi pubblici altrimenti si torna da capo». Un tempo l’artista veniva pagato il giorno successivo alla recita. Poi si è concordato di saldare a fine produzione. Col tempo si è deciso che i pagamenti venissero effettuati a trenta o a sessanta giorni dalla fine delle recite. «Tutte clausole inserite nei contratti, ma che negli ultimi tempi molti teatri hanno disatteso». Un disagio per gli artisti che devono sostenere le spese per vitto e alloggio durante il periodo delle prove e delle recite senza avere la certezza di quando percepiranno il loro compenso. «I cantanti, poi, emettono anche fatture sulle quali pagano l’Iva. E i loro mancati pagamenti ricadono poi su noi agenti che tardiamo nel percepire il nostro 10% sugli ingaggi. Anche se molti artisti anticipano il nostro onorario» conclude Oldani che comprende anche le «ragioni dei teatri».
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