venerdì 5 febbraio 2016
Veloso & Gil, cinquant’anni di fusion e poesia
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Cinquant’anni di carriera nella musica sono tanti. E pesano tantissimo, quando a festeggiarli sono artisti che hanno rinnovato il linguaggio stesso della canzone facendone poesia capace di parlare dell’uomo denunciandone senza mezzi termini anche le miserie, al punto da finire in prigione e in esilio per questo. Perché Caetano Veloso e Gilberto Gil, alfieri di una musica brasiliana capace di aprirsi al mondo intero segnalando nuove strade a molti dappertutto, hanno saputo superare ogni barriera intendendo il loro far canzone in senso alto, etico, nuovo. Veloso ha iniziato mezzo secolo fa con la bossa nova, poi ha ricreato la musica popolare, infine vi ha immesso la politica nel senso non ideologico e banalizzante del termine; Gil, anch’egli partito dalla tradizione e trattando temi civili, è invece approdato a dischi in inglese e contaminazioni con l’Africa; e soprattutto insieme Veloso e Gil hanno fondato giovanissimi il tropicalismo, movimento che mirava a creare nuova musica partendo dagli stimoli di più generi (ma anche più arti) per potervi innestare davvero la realtà e cantare contro razzismo, sterminio dei bambini di strada, gli interessi che mantengono troppi status quo favorendo povertà o diffusione delle ma-lattie: e perciò, vennero dapprima arrestati e poi spediti a Londra dalla dittatura militare brasiliana di fine anni ’60. Da sempre amici e collaboratori, oggi Veloso e Gil festeggiano 50 anni di questa loro avventura musicale che è fra le poche a poter dire di aver davvero cambiato il mondo: e lo fanno portando su due cd e un dvd il loro ultimo tour insieme, passato per ventuno nazioni e contenente in scaletta anche un inedito e un omaggio all’Italia ( Come prima). L’opera, che testimonia due canzonieri di raro spessore, si intitola Two friends, one century of music, ovvero due amici e un secolo di musica. Qual è la cosa più importante di questi cinquant’anni di musica? Ha ancora senso la musica “pop”? Veloso: «L’hip hop è stata forse la novità maggiore, ma penso che la canzone resista e resisterà sempre».  Gil: «Anche perché è la musica popolare in sé, forse, la cosa più importante che avviene e si sviluppa di continuo. Nel rock, nella fusion, ora col digitale». Può essere il rap, la musica d’autore del futuro? V: «La parola dei poeti era in musica già nell’antica Grecia, in fondo: e ormai il rap è diffuso da anni».  G: «È uno dei linguaggi principali e quantomeno si dividerà il futuro con altri. Non con il tropicalismo, più una filosofia che una musica». Che ruolo pensate di avere avuto voi, nella storia? V: «Mi è difficile considerarmi un musicista, davanti a gente come Nascimento o Buarque… Penso di aver scritto alcune canzoni di rilievo, non straordinarie però. E poi confesso: adoro cantare, soprattutto».  G: «Ho dato un mio contributo, credo, provando a mio modo a interpretare i fenomeni musicali incontrati». Pensate che la vostra collaborazione, un bianco e un nero, abbia inciso nel combattere il razzismo? V: «Spero che l’abbiamo fatto in ogni passaggio della nostra musica. Però devo dirle che quando ci siamo conosciuti, non c’erano germi di razzismo nella società. Negli anni Settanta, è sorto il problema: anche se ne ero consapevole fin dall’infanzia e certo sì, un duo “mulatto” ha avuto peso nel combatterlo». G: «Lo auspico proprio, ne abbiamo scritto molto». Cantate anche in italiano: cosa pensate della nostra musica? V: «Dell’oggi conosco poco, ma da ragazzo adoravo la vostra canzone. Ora mi piacerebbe trovare il tempo per il disco che Bollani sogna che facciamo insieme». G: «Sono cresciuto ascoltando italiani: Modugno, Endrigo, Tenco, Rita Pavone, Nico Fidenco. Oggi apprezzo Fiorella Mannoia e Chiara Civello». Cosa ricordate, oggi, di prigione ed esilio? V: «La prigione fu un inferno, un incubo. E l’esilio non aiutò a uscirne. Oggi si può scrivere e cantare quasi tutto, con la dittatura era diverso».  G: «La prigione è stata tremenda; l’esilio, redditizio per la mia crescita musicale. Ed è vero, non avevamo la libertà oggi data per scontata da chi fa canzoni: fuorché in Paesi come Nord Corea o Cina, penso». Veloso, lei in Obra em progresso provò la continua interazione col pubblico tramite il web: come giudica oggi Internet nell’arte, opportunità o rischio? V: «Intanto fu divertente, e interessante. Ma ora uso internet solo per le mail o Google… È su Facebook che informo i fan e condivido testi, immagini, idee». Come sta il “suo Brasile” nell’anno delle Olimpiadi di Rio? V: «Male, e purtroppo per uno della mia età non è una notizia. Sono deluso, e temo per il futuro: anche se c’è molta energia che cova sotto la cenere». Lei invece, Gil, è stato anche ministro: esiti? G: «Se non sei un politico entrare in meccanismi di governo può funzionare ma anche no. Però qualcosa deve cambiare… Nel mio caso ha avuto senso». Da ambasciatore della Fao come agisce, invece? G: «Provo ad aiutarli a realizzare gli obiettivi, contro la fame, per lo sviluppo. Senza presunzione». Ma secondo voi è necessario che un artista dia alla propria arte una forte valenza etica? V: «Certo che sì! Sempre, in ogni modo, anche se non è che ci si debba pensare di continuo. Però quando c’è si coglie da tutto, dal ritmo, da due sillabe…» G: «Quando la musica la ascolto non è che pensi alle esigenze etiche che hanno mosso la mente o il cuore dell’autore. Ma incidono, quando sono chiare». Qual è stato il maggiore regalo di 50 anni in musica? V: «Cantare davanti a una moltitudine immensa, in un quartiere di Rio, un intero mio disco».  G: «Aver avuto l’opportunità di realizzare alcuni sogni, ricavandone pure piacere e la stima di tanti». Pensate che nel 2016 ci vorrebbe, un nuovo tropicalismo? O perlomeno un ripensamento dei modi del fare musica, se non del fare arte toutcourt? V: «Non del tutto, ma qualcosa penso si possa fare ancora su questi temi. Anche se ora sento soprattutto la necessità di fare il mio lavoro sperimentando cose nuove e ascoltando cosa propongono altri artisti».  G: «Senz’altro non ripenserei il tropicalismo. Semmai sì, vorrei avere la chance di riproporlo oggi: perché sono molto più capace e preparato per sfide così».
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