martedì 17 novembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Mentre una nave affronta il cupo mare in tempesta e il suo prezioso carico – centinaia di opere d’arte di inestimabile valore – rischia di scomparire tra i flutti, Aleksandr Sokurov, che in Francofonia si intravede conversare in quegli istanti drammatici con il capitano afflitto dal disastro incombente, ricorda a lui, ricorda a noi: la storia è come il mare, tragica e senza pietà. La storia occupa sempre un posto di primo piano nei film del regista siberiano. Talvolta la connette all’intimità dei rapporti familiari, come in Alexandra; altre diventa lo strumento per riflettere sull’uso totalitario e folle del potere, come nella trilogia sul ’900 in cui ha raccontato alcuni giorni di vita di Hitler, Lenin e Hirohito; oppure, la inserisce nella grandiosa visione trascendente del suo Faust, tratto da Goethe, con il quale ha vinto il Leone d’oro nel 2011. Può essere anche motore di energie positive, quando innesca quelle responsabilità tipiche dell’intelletto e della civiltà che la trasformano in maestra e custode di bellezza. Questo accadeva in Arca russa, un piano sequenza di un’ora e mezza girato nell’Ermitage di San Pietroburgo in cui, come onirici capitoli, scriveva per immagini la storia russa. Ciò che gli è rimasto da quelle esperienze cinematografiche ha, però, il sapore amarissimo dell’impotenza. «Dovuta al fatto di non sapere con quali mezzi si possa superare questa disarmonia – precisa –, questo caos che imperversa nel mondo e nello scorrere del tempo». In Francofonia, che aprirà domani a Firenze l’ottava edizione de “Lo schermo dell’arte film festival” e uscirà in sala il 17 dicembre, si percepisce una grande attenzione nei confronti dell’Europa. Secondo lei il nostro continente va verso il collasso o una rigenerazione? «Di sicuro non la rigenerazione, perché non v’è alcun segno che la possa testimoniare. Non ci sono leader politici oggi che si siano abbeverati alle discipline umanistiche, non ci sono artisti di valore che sappiano incarnare un rinnovamento della società. Invece, è del tutto palese un vuoto intellettuale assoluto dell’élite politica, la sua assoluta incapacità di intervenire, anche a livello fisico, per difendere la cultura e la civiltà europee. L’Europa oggi è scoperta, è nuda». Lei nel film si avvicina anche ad alcune illustri figure storiche e artistiche della Russia. «E una assoluta, profonda delusione l’atteggiamento del mio Paese, perché per quanto la Russia possa sembrare lontana, l’Europa è la nostra sorella maggiore e se lei è ammalata, anche noi non possiamo dirci in salute». La nave che in Francofonia trasporta le opere d’arte soccombe alla forza delle acque. Può essere simile, questo scomparire di uomini e di arte tra i flutti, a quanto sta accadendo a Palmira e in altri siti archeologici, devastati dalla furia dell’Is? «Sì, questa lettura è appropriata, ma si può scoprire anche un altro significato, parlando del valore dell’arte e della vita umana. Perché il nostro capitano nel film è dinanzi a una scelta: liberarsi del carico e salvare la nave e se stesso, oppure tentare di salvare l’arte mettendo a rischio la vita di tutti. Sceglie questa seconda soluzione, conscio del pericolo che corre. Il suo tentativo, però, pur essendo nobile, è inutile». Papa Francesco ha scritto un’enciclica sul creato. Chiede a tutti gli uomini di essere guidati dalla responsabilità per questo bene comune. Una riflessione sulla vita e sul mondo. «Viaggiamo con papa Francesco sulla stessa barca. Le leggi che regolano il mondo della natura spesso sono crudeli. L’uomo in questo sistema è l’unico essere vi- vente che tende a limitare con responsabilità i propri istinti attraverso la ragione. Perché accade che così spesso la usiamo invece per azioni orrende? È un enigma, quello del male. Ancora cerco una risposta. Non credo arriverà». Lei è nato nel 1951. Aveva poco più di sei anni da quando il conflitto mondiale, appunto con le sue azioni repellenti, era terminato. Il nazismo appare in Moloch, nel quale racconta una giornata di Hitler a Berchte-sgaden nel 1942, e in Francofonia, con Parigi invasa dai tedeschi. Come le veniva raccontato in famiglia quel tragico periodo di storia?  «Mio padre aveva combattuto durante la Seconda guerra mondiale e raramente a casa parlava delle sue esperienze militari perché aveva provato e vissuto tale orrore, ci diceva, che non voleva tornarci nemmeno con le parole. La guerra è un’esperienza talmente repellente e insensata che non la si doveva nemmeno ricordare. Per questo detestava i film di guerra. Mi fece giurare che non ne avrei mai girato uno».  I due protagonisti di Francofonia, il direttore del Louvre Jacques Jaujard e l’ufficiale nazista Wolff-Metternich, pur essendo nemici collaborano segretamente per salvare l’arte. Sono profeti o illusi sognatori?  «Sono esempi semplici e coraggiosi che dimostrano, a dispetto delle contingenze e dei tempi in cui vivono, con quale forza morale si possa compiere il proprio dovere». Che è quello di salvare le opere d’arte. «Si, prima di tutto. Preservarle dal saccheggio dei barbari, proteggerle. Molti nazisti portavano completi di sartoria e uniformi eleganti, erano istruiti e sapevano parlare lingue straniere. Ma sotto questa raffinatezza apparente si nascondevano delle bestie, con unghie e denti affilati. I miei due protagonisti possiamo paragonarli a sacerdoti: questi devono celebrare con umiltà e fede ogni giorno la Santa Messa, che è un atto sacro, aprendo con tenacia e sacrificio le loro chiese. Così è per coloro che custodiscono l’arte: devono aprire ogni giorno i musei all’umanità. È un atto che ha la sua sacralità».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: