venerdì 26 agosto 2016
Dalla Rai a Mediaset non c'è palinsesto, invernale o estivo, senza un programma con concorrenti che rispondono a domande.
Gioco a quiz, l'acchiappascolti
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Non c’è estate che tenga per il quiz preserale di Rai 1. Va sempre in onda, anche in agosto. Non è più come un tempo quando i giochi a premi segnavano l’opposizione tra festivo e feriale e la stagionalità dei palinsesti. Ora, se non è L’ereditàpoco importa. Sarà Reazione a catena, ovvero, come recita il sottotitolo, “L’intesa vincente”, in onda sull’ammiraglia Rai dal luglio 2007. Per cui, da dieci stagioni, è il traino estivo del Tg1 delle ore 20.00, l’edizione principale, la più importante in assoluto nel panorama dell’informazione televisiva. E da oggi, con Reazione a catena di sera, sarà protagonista anche di tre prime serate per tre venerdì. «Tutte le sere per tutta l’estate siamo qui», scandisce Amadeus, il presentatore fatto quiz: conduce Reazione a catena dal giugno 2014, ma in precedenza ha condotto molti altri game-show in Rai e a Mediaset. In particolare ha ideato e portato al successo L’eredità, diventato poi cavallo di battaglia di Carlo Conti, dimostrando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, quanto i quiz siano connaturati con la tv e quanto sia impossibile per gli uomini di spettacolo non cimentarsi nella conduzione. Ci sono passati e ci passano quasi tutti assumendo quel ruolo fondamentale a metà strada tra il domatore e il padrone di casa, l’esaminatore e il protettore. Di colui che accoglie i concorrenti, che fa le domande con atteggiamento autorevole di premiatore o punitore, pronto però a prendere le difese e aiutare il concorrente in difficoltà. Un ruolo incarnato alla perfezione da Mike Bongiorno, il presentatore per antonomasia, un personaggio a tutti gli effetti pur non avendone le caratteristiche peculiari. Era infatti essenzialmente una persona comune, modesta, anche culturalmente, nella quale, però, il telespettatore ci si rispecchiava volentieri. Con Mike è avvenuta l’identificazione tra quiz e conduttore. Altri presentatori hanno tentato vie diverse per raggiungere il successo e alcuni ci sono anche riusciti, ma tutti hanno dovuto fare i conti con lo stile Bongiorno e nessuno ha mai sfondato facendo sfoggio della propria cultura. Non è un caso che Fabio Fazio abbia voluto riproporre il Rischiatutto cercando di trasformarlo nuovamente in un evento televisivo attraverso una lunga gestazione partita l’estate scorsa con lo spot per il casting quando sembrava che tutto dovesse partire in primavera. Poi è arrivato il rinvio all’autunno. Ecco allora che in inverno, in questa sorta di quattro stagioni dell’attesa, Rai 3 si è inventata Quasi quasi Rischiatutto - Prova pulsante, prima come anticipazione domenicale all’interno di Che tempo che fa e poi come striscia quotidiana serale di una decina di minuti. Dopo di che in primavera sono andate in onda alcune puntate di prova con personaggi dello spettacolo e vecchi concorrenti in attesa della versione definitiva del prossimo autunno. Bongiorno diceva: «Noi raccontiamo storie, non facciamo quiz». Infatti, a decretare il successo dello stesso Rischiatutto e prima ancora di Lascia o raddoppia? furono anche i concorrenti, spesso veri e propri personaggi al pari del presentatore. Adesso, invece, con l’abbassamento della difficoltà delle prove proposte, è molto difficile che un quiz televisivo produca un personaggio. Resta però invariato l’interesse del pubblico a casa che prima era attratto dalla bravura del concorrente e anche dalle vincite, mentre ora si sente partecipe perché è più facile anche per lui indovinare. In questo senso, un punto a favore dei giochi a premi più recenti, rispetto a quelli del passato, è dato dal fatto che, abbandonate in parte le domande su argomenti particolari, sconosciuti ai più, si tende a privilegiare quelle sull’attualità, alle quali tutti potrebbero essere in grado di rispondere, sentendosi così maggiormente coinvolti nella trasmissione. Il tutto in un contesto in cui, per molti, la televisione è dispensatrice di cultura e le trasmissioni a quiz sono utili per imparare qualcosa. E proprio su questo punto si è creata la confusione tra cultura e nozionismo se non addirittura tra cultura e buona memoria. Ma le ragioni del perdurante successo delle trasmissioni a premi, senz’altro il genere più rappresentativo della tv, possono essere individuate anche partendo dalla competizione, presente in tutti i programmi del genere. La competizione piace, sia essa sportiva o politica o d’altro genere, e più che altro sembra piacere la competizione di cui non siamo protagonisti, ma spettatori (si pensi, ad esempio, all’enorme interesse per il calcio giocato da altri). Alla competizione è strettamente legato il gusto per il rischio, quello degli altri ovviamente, e non è un caso che proprio la trasmissione battezzata Rischiatutto abbia raggiunto i più alti indici d’ascolto di ogni tempo diventando più che uno spettacolo popolare un fenomeno di costume. Le formule restano ripetitive e collaudate, le regole ricorrenti e familiari. La stessa Reazione a catena, dalla seconda edizione (quella del 2008 allora condotta da Pupo), non ha più cambiato le prove, ma solo adattato alcuni meccanismi. Ancora oggi si passa da Caccia alla parola, alle Catene musicali, a Una tira l’altra fino quell’“Intesa vincente” del sottotitolo che fin dalla prima edizione è il gioco decisivo del programma. Col passare del tempo il telequiz ha perso gradualmente il suo ruolo di show serale (agli esordi fu un evento sociale), ma non ha mai perso di interesse (a parte una pausa negli anni ’60) nemmeno nei decenni successivi. Basti pensare che il Rischiatuttodel 1972, nella finalissima dei Supercampioni, toccò la punta massima in assoluto di ventisette milioni di telespettatori, mentre l’anno dopo raggiunse un gradimento pari a 75 con un ascolto di 20 milioni e 700mila telespettatori. Nello stesso periodo il Tg delle 20.30 segnava lo stesso indice di gradimento, ma un ascolto di sedici milioni. In tutti questi anni l’Italia è cambiata e con lei la tv, ma i telequiz tengono ancora banco nella formula modificata del gameshow e nella collocazione preserale per fare da traino ai tg. Proprio per questo è stata inventata una fascia oraria televisiva fino a quel momento inesistente, il cosiddetto “access prime time”. Tra gli inossidabili conduttori del genere, merita un posto di riguardo Gerry ( Virginio) Scotti, simbolo di Mediaset, in onda anche lui in estate inoltrata, fino al 15 luglio scorso, con Caduta libera, che riprenderà il 12 settembre. Scotti, che ha compiuto sessant’anni nei giorni scorsi, sta alla televisione come ciascuno di noi sta alla propria casa. In trent’anni di carriera non ha mai cambiato il suo stile. Un po’ come i quiz in tv, che hanno solo aggiustato formule e meccanismi.
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