giovedì 2 ottobre 2014
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La “Rivoluzione di Velluto” sbarca sul palco del Premio Tenco , al via stasera a Sanremo con il concerto dei cechi Plastic People of Universe, la rock band perseguitata dal regime comunista nella Cecoslovacchia occupata per la quale Vaclav Havel scrisse il celebre manifesto per i diritti umani e civili Charta 77. Il poeta e compianto presidente della Cecoslovacchia si considerava un «membro non suonante» di questa rock band (cui andrà il Premio Tenco) ppassionata degli americani Velvet Underground e di Frank Zappa, che cantava i testi del visionario poeta William Blake e del ceco dissidente Jiri Kolar. E, come lui, in carcere finirono pure i 5 membri della band, capitanata dal chitarrista Milan Hlavsa, una prima volta nel nel 1976 durante un festival underground con l’accusa di teppismo. Il sassofonista Vratislav Brabenec venne condannato a 8 mesi, il manager Ivan Martin Jirous a 18 mentre l’ex cantante Paul Wilson, canadese, venne cacciato dal Paese, diventando così un ambasciatore della cultura d’opposizione, traducendo all’estero le opere di Havel, di Josef Skvorecky e fondando un’etichetta che distribuirà anche in America la musica del gruppo. E proprio per reazione all’arresto della band Havel e altri quattro intellettuali scriveranno Charta 77, sottoscritto da altri 247 intellettuali. Da questo movimento di dissenso, nascerà 12 anni dopo quella “Velvet Revolution” che deve il nome ai Velvet Underground”.  Oggi, 46 anni dopo la loro fondazione, i Plastic People of Universe continuano a suonare, con vare sostituzioni, ma il sassofonista Brabenec è ancora lì, con tanta voglia di raccontare ad Avvenire  quegli anni. The Plastic People of Universe si formarono un mese dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 da parte dell’Unione Sovietica. Un periodo difficile per iniziare un’avventura artistica... «Naturalmente è stato molto drammatico. Può essere comparato a quello che sta succedendo ora in Ucraina. C’erano carri armati, molte persone ferite e uccise. Un grande minaccia. A quell’epoca avevo 25 anni, studiavo teologia e in qualche modo sentivo che sarei finito in Siberia. Non saprei dirle esattamente perché iniziammo a suonare insieme, però non aveva a che fare con l’invasione». Voi avevate deciso di cantare in inglese, scelta pesantemente avversata dal regime comunista. «Fino agli anni 70 era stato permesso alle band di portare nomi inglesi e di scrivere canzoni in quella lingua. Poi fu proibito, con alcune eccezioni, ad esempio se l’argomento attaccava i diritti di alcune minoranze americane. Noi decidemmo di scrivere in inglese quando arrivò dal Canada il cantante Paul Wilson: aveva studiato letteratura inglese, così la sua lingua era perfetta e poteva anche cantare le cover dei gruppi americani senza problemi». Ma cosa vedeva di pericoloso in voi il regime comunista? «La nostra influenza sui giovani non era stata messa in discussione fino agli inizi degli anni 70, quando il permesso di suonare ci venne tolto all’improvviso. Dissero che la nostra influenza sui ragazzi era davvero negativa. I nostri testi erano considerati troppo legati alla morte. Per la nostra audizione presso la commissione di valutazione noi abbiamo usato una poesia di Kolar chiamata La rosa e la morte e per loro sembrava troppo necrofila». Ma voi non eravate degli attivisti. «Non era nostra intenzione, i nostri testi avevano una varietà di messaggi, fortemente legati alla poesia. Nei testi scritti da me prendevo ispirazione dallo scrittore e filosofo ceco Ladislav Klina. Ognuno di noi aveva la sua visione, e io sono stato l’unico membro della band a firmare Charta 77una volta scarcerato, come pure il manager Jirous». Ci racconta come furono i momenti della vostra persecuzione da parte del regime? «Paul Wilson tradusse in inglese per farli circolare Charta  77  e altri documenti correlati, registrando quello che accadeva in Cecoslovacchia, tanto che alla fine fu espulso. La band non venne perseguitata tutta insieme. Ogni membro venne arrestato individualmente, compresi il cantante solista Svatopluk Karasék e Pavel Zajicek. Noi eravamo accusati come gruppo del paragrafo B: “disturbatori della pace”, che era totalmente sbagliato. L’intero processo fu una farsa. Guardando indietro oggi penso che il comunismo fece un autogol, perché l’idiozia di tutto il processo portò alla nascita di Charta 77che, al contrario del rock underground, era davvero una opposizione politica». Ci racconta la vostra amicizia con Havel? «Havel ci sosteneva quando producevamo i nostri album permettendoci di stare nella sua tenuta per registrare. Ci ha anche supportato finanziariamente dato che noi non potevamo permetterci un vero studio di registrazione. Nel 1997, dopo essere diventato presidente della Repubblica, ci chiamò a suonare al Castello di Praga. L’amicizia con Havel è durata fino ai suoi ultimi giorni. E noi, anche nel suo nome, continuiamo a suonare e speriamo di registrare ancora un album». E oggi che i totalitarismi avanzano in modo sempre più preoccupante voi che messaggio date? «Ci sono molte cose critiche che avvengono nel mondo, specialmente in Europa, che parlare solo di arte sembra senza senso. Ognuno ha il diritto di lottare per la propria libertà, ma il totalitarismo non è più quello di una volta. Combattere contro l’Unione Sovietica è stata una battaglia di ieri. Mi auguro che oggi si trovino soluzioni nuove per raggiungere la pace».
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