giovedì 5 marzo 2015
​Anche se satellite e digitale hanno modificato le abitudini degli spettatori, saper programmare resta decisivo per il successo di una rete Parla lo studioso Luca Barra: «Si punta su ritualità e identità Come Tv2000 con il Rosario».
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I palinsesti non sono più quelli di una volta. Eppure ci sono ancora, regolano il nostro rapporto con la televisione e, nello stesso tempo, assecondano e sfruttano i mutamenti indotti dalle nuove tecnologie. A sostenerlo è un giovane studioso dell’Università Cattolica di Milano, Luca Barra, che al tema ha appena dedicato un ampio saggio sistematico (Palinsesti. Storia e tecnica della programmazione televisiva,  Laterza, pagine 202, euro 20). Si va dall’origine della parola, presa in prestito dalla filologia – il palinsesto, com’è noto, è un manoscritto cancellato e modificato –, fino alle grandi battaglie degli anni Ottanta e Novanta, quando la tv commerciale obbligò la Rai a rivedere orari e modalità di messa in onda. Poi, si dice solitamente, arrivano il satellite, il web, il digitale, e il palinsesto perde d’importanza. «Beh, se così fosse non saremmo qui a discutere di Striscia la notizia  che rivela in anticipo il vincitore di Masterchef, non le pare?», ribatte Barra. Quindi il palinsesto è vivo e vegeto? «Negli ultimi vent’anni ci si è concentrati in prevalenza su quelle che potremmo definire le spinte centrifughe rispetto alla tv tradizionale: offerta più abbondante, maggior intraprendenza dello spettatore e via dicendo. Tutto vero, ma se si prova a osservare la realtà più da vicino, ci si rende conto che le reti televisive non hanno affatto rinunciato al palinsesto. Al contrario, lo stanno trasformando in uno strumento sempre più efficace e sofisticato». Con quali obiettivi? «Uno è quello della cosiddetta sincronizzazione sociale: l’evento dal vivo, ma anche la nuova puntata di una serie tv o di qualsiasi altro programma si configura come un appuntamento rituale, del quale si può discutere con gli altri, magari attraverso i social media. In un modo o nell’altro, ci si deve sempre allineare a una scansione prestabilita. Che può variare di Paese in Paese, d’accordo, mirando però sempre a calamitare l’attenzione». Tutto qui? «No, perché anche nell’epoca del satellite e del digitale una rete ha bisogno di proporre non solo quello che al pubblico piace già, ma anche quello che il pubblico ancora non conosce e che invece potrebbe apprezzare. Ipotizzare, come pure si è fatto, uno scenario in cui tutta l’offerta televisiva è on demand, per cui ciascuno vede esattamente ed esclusivamente quello che gli interessa, significherebbe rinchiudersi di un ambito fin troppo angusto. Il palinsesto deve rimanere, e in effetti rimane, il luogo del primo incontro, della scoperta. In questo gioca un ruolo decisivo l’identità della rete, il suo presentarsi come vetrina per un certo tipo di prodotto. Lo spettatore cerca un determinato canale proprio perché sa che lì c’è qualcosa che potrebbe essere di suo gradimento». Oppure la riproposta di qualcosa che ha già apprezzato. «Nel corso del tempo l’utilizzo del “magazzino” ha subìto un’evoluzione molto rilevante. Negli anni Cinquanta, per esempio, Achille Campanile si lamentava delle troppe repliche estive. In seguito, durante la lunga gestione della Rai da parte di Ettore Bernabei, è prevalso un atteggiamento strategico: in magazzino finivano le produzioni che, per le ragioni più svariate, si riteneva opportuno lasciar decantare, spesso nella prospettiva di mandarle in onda senza gran risonanza. Tutto è cambiato con l’avvento della tv commerciale, per la quale la library, composta in prevalenza da film e telefilm, si è subito rivelata una risorsa decisiva. Nella tv contemporanea, infine, la disponibilità dei programmi si impone quale valore aggiunto. Chi sottoscrive un abbonamento alle reti Sky, infatti, non acquista solo il diritto a vedere una determinata trasmissione, ma anche a ritrovarla in diversi orari o in giornate diverse, eventualmente mediante le “maratone” che nel fine settimana ripropongono intere serie nell’esatta successione cronologica. Si paga per vedere prima, insomma, e per rivedere ogni volta che lo si desidera». Ma tutto questo non presuppone uno spettatore giovane e smaliziato? «Se ben congegnato, il palinsesto dei nostri anni può risultare molto attraente anche per un pubblico ritenuto, a torto o a ragione, più tradizionale. Da questo punto di vista un modello virtuoso e per certi aspetti curioso è costituito dal Rosario trasmesso quotidianamente da Tv2000. È un appuntamento fisso, che accentua l’elemento di ritualità caratteristico della tv. Mai come in questa occasione, anzi, è indispensabile condividere e scandire il tempo insieme con gli altri. In questo modo, inoltre, il Rosario incide profondamente sull’identità della rete, rendendola riconoscibile da parte dal suo possibile pubblico di riferimento».
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