domenica 28 febbraio 2016
Morricone: «Il mio segreto? Non ascolto i registi»
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Un pianoforte e una sceneggiatura. Ennio Morricone a ottantasette anni, tra ricordi e passione, continua a leggere proposte e mettere mano allo spartito, dedicandosi con inesauribile e giovanile entusiasmo alla colonna sonora. L’ultima delle quali è una grande composizione che gli ha richiesto Quentin Tarantino per il suo ultimo film, The Hateful Eight – una sorta di western cameristico girato tutto all’interno di un emporio in cui otto personaggi si eliminano con inganno e ferocia –, che lo ha messo nuovamente in gara per l’Oscar, la cui cerimonia di premiazione avverrà questa notte a Los Angeles. Ha lavorato al film imprimendo il suo personale stile, ma senza voler fare alcun riferimento alle sue storiche collaborazioni con Sergio Leone, Duccio Tessari e Sergio Corbucci. «Spero che si scorga anche questa volta la personalità mia – riflette il compositore –, altrimenti sarebbe un guaio. Dovendo fare dopo tanti anni di nuovo un film western, sono precipitato in dolorose riflessioni per cercare una soluzione. L’ho trovata tagliando di netto con il passato, musicale s’intende, di Leone, cercando ispirazione altrove. Per un pugno di dollari è ormai storia, e anche tutti i film che sono venuti dopo. Figuriamoci se, passati cinquant’anni, avessi ripetuto quelle idee! Anche perché tutti si ostinano a dire che questo di Tarantino sia un film western, mentre per me è, invece, un grande film d’avventura, sulla neve, perfettamente collocato in una precisa situazione storica, quella poco dopo la fine della Guerra di secessione americana. Ci sono, sì, un po’ di botte, ma che possono fare un po’ di botte? Il film addirittura comincia con l’attrice che ha già un occhio nero! ». Maestro, lei ha sempre scelto generi e registi con molta attenzione, avendo ben presente l’importanza di una colonna sonora. «Veramente questa volta è Tarantino che ha scelto me. Io ne sono stato felicissimo: lo ritengo un importante regista, dotato di grande tecnica e anche fantasia. Certo mia moglie mi ha spronato: quando ha letto il copione, che era molto elaborato, pieno di particolari, si è esposta, ha detto subito che era un capolavoro. Io non l’ho mai detto! Ma mi è parso proprio di fare un film completamente diverso rispetto a quelli del passato e anche la musica doveva essere diversa. Tanto più perché Tarantino è rimasto sempre muto, mi ha detto soltanto: “Fai quello che ti pare”! Mi ha lasciato scrivere ciò che volevo. E io mi sono preso molto volentieri questa libertà. Ho lavorato sul copione senza aver visto mai nemmeno un’immagine del film. Lui è venuto a Praga quando ho finito di registrare, la musica gli è piaciuta, era abbastanza contento. In quel momento sono rimasto abbastanza contento pure io. Mi ha detto che lavoreremo ancora insieme ». Maestro, la musica in un film non è un accessorio. Lei vive con grande apprensione il suo lavoro, anche se poi le soddisfazioni sono enormi, al pari delle responsabilità. «Quando accetto un incarico, qualsiasi esso sia, sono teso e preoccupatissimo. Mi succedeva anche in gioventù. Quando leggo un copione io ho sempre un grosso problema da affrontare, perché scrivere musica per un film è una grande responsabilità. Come compositore sento sempre di dover forzare, aiutare il suc- cesso con il mio lavoro, con la mia musica. Quando questo viene a mancare, è davvero un grande dolore, mi domando se in parte è anche colpa mia. Il film deve piacere a me, la musica deve piacere a me, ma deve piacere pure al regista e al produttore e, guarda caso, deve piacere pure al pubblico, che non deve esserne disturbato. Tutti questi problemi angosciano. Mi brucia ancora il ricordo di due capolavori degli anni ’60, Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri e Un uomo a metà di Vittorio De Seta, che andarono male, non incassarono una lira. Avevo addirittura chiesto se volevano che rifacessi la musica, perché era complessa, complicata». Per il film di Tarantino che cosa ha scritto esattamente? «Quattro pezzi che formano praticamente una sinfonia in quattro tempi per un totale di trenta minuti. In apertura ho scritto un lungo movimento di dodici minuti che si apre con il “tema della neve”, un pezzo sospeso, dove all’immobilità del paesaggio si contrappone il dinamismo appena accennato della mia musica. Perché mi piacciono questi opposti. Poi ho scritto un pezzo brevissimo di una trentina di secondi, un grande crescendo con tutta l’orchestra che spinge su una nota sola». E oggi, lei vede eredi?  «C’è un problema enorme, oggi, nella musica per il cinema, perché sono venuti fuori degli strumenti elettronici, i sintetizzatori, sui quali i dilettanti ci mettono le mani sopra credendo di scrive- re bella musica, ma non la conoscono. Credono di saper comporre una melodia, ma non è così. Al contrario, ci sono compositori bravissimi che sanno lavorare bene. Però, pensandoci, ne conosco pochi: Piersanti, Bacalov, Crivelli. E Piovani, che ha una forte persona-lità, ma potrebbe fare cose più incisive, ossia rischiare di più, dando meno retta ai registi. Io, invece, vado incontro ai rischi, mi piacciono. Qualche volta va bene, qualche volta va male. Per Peppuccio Tornatore, però, li evito: scrivo sempre due pezzi, così ne ho uno di riserva da proporgli». Per la musica di The Hateful Eight lei ha vinto il suo terzo Golden Globe e il suo quinto Bafta, ultimi di una serie di riconoscimenti internazionali che hanno costellato la sua lunga carriera. «Ho pensato di aver preso questi premi e… basta. Non sono uno che si monta la testa». Corre anche all’Oscar per la migliore colonna sonora, dopo quello alla carriera ricevuto nel 2007 e le cinque candidature, tra cui quella per Mission. Come vive questa nuova corsa che terminerà stasera a Los Angeles? «Quello per Mission proprio me lo portarono via! Sono a Los Angeles, andrò in teatro. Però io di statuette ne ho già una! Poi, se stasera arriva, arriva; se non arriva, non arriva. Non è che non ci tengo: mi piace! Ma se non me lo danno, l’Oscar, mica lo posso strappare di mano a chi lo prende!».
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