venerdì 29 agosto 2014
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​Il cinema come strumento di resistenza contro abusi e restrizioni, ingiuste censure e prepotenze. Mentre il Festival di Venezia riserva due sedie vuote all’iraniana Mahnaz Mohammadi e all’ucraino Oleg Sentsov, due cineasti arrestati nei mesi scorsi (la prima dalle autorità locali che l’hanno condannata a 7 anni di prigione, il secondo dai servizi segreti russi con l’accusa di terrorismo), la Mostra vede in gara un’altra grande signora del cinema persiano, Rakhshan Banietemad che con il suo Storie ripropone alcuni dei personaggi dei suoi film precedenti, il primo dei quali realizzato trent’anni fa. “Invisibili” senza voce, appartenenti a diverse classi sociali che ogni giorno lottano faticosamente per difendere i propri diritti contro uomini violenti, istituzioni corrotte, assurde regole sociali. Registi e operai, intellettuali e impiegati statali, assistenti sociali e medici incrociano i propri destini comuni nell’Iran di oggi, dando vita a toccanti ritratti intimi e al tempo stesso a un efficace affresco sociale. In prima linea soprattutto le donne, destinate a una battaglia impari che le rende però vincenti. La regista ha trascorso gli ultimi otto anni in auto-restrizione, per non dover riconoscere l’autorità di una commissione cinema del ministero totalmente incompetente. La storia della lunga e travagliata gestazione del film la scopriamo dalle note di produzione perché in conferenza stampa la regista minimizza le difficoltà ed evita accuratamente l’argomento, decisamente troppo spinoso per farne un tema di dibattito in un festival internazionale. «Oggi la gioia di aver realizzato il film supera il ricordo dei problemi, non ne voglio parlare», taglia corto. Nel suo periodo di inattività forzata, la Banietemad era comunque alla ricerca di una soluzione per realizzare un film in maniera legale e al tempo steso evitare la commissione. «Non mi interessa fare cinema in clandestinità – spiega la regista – perché la cosa che più mi sta a cuore è mostrare il film agli spettatori iraniani, non solo al pubblico dei festival». E se ai giornalisti spiega che la struttura narrativa del film nasce dall’esigenza di rispecchiare la vita reale in cui le persone si sfiorano condividendo gioie, dolori, emozioni, in realtà questa scelta è l’escamotage per aggirare la censura: i cortometraggi infatti non hanno bisogno del consueto iter burocratico. E dal momento che non c’è alcuna legge che vieti a un cineasta di proiettare i cortometraggi tutti insieme, uno dietro l’altro, Storie nasce proprio dal collage di tanti piccoli racconti che attraverso i personaggi si collegano uno all’altro pur mantenendo ciascuno la propria autonomia. «Sentivo che questo film non era solo un film, ma il risultato del mio sguardo di tutta una vita verso il cinema che malgrado tutti i problemi è vivo e sempre lo sarà».Senza budget e senza autorizzazione, il film ha potuto contare sulla complicità di un ottimo cast di attori (tra cui Payman Maadi, al Lido anche con Melbourne selezionato da La settimana della critica) che in soli 17 giorni di riprese hanno sfidato divieti e interdizioni. Al termine del montaggio la commissione ha scoperto l’esistenza del film e naturalmente sono cominciate le prima le telefonate, poi le minacce. La regista ha disperatamente tentato di ottenere un’autorizzazione formale per realizzare un film in realtà già terminato e per proiettarlo. L’autorizzazione è arrivata con le seguenti clausole: non valido per le proiezioni pubbliche in sala, per i festival nazionali e internazionali, per la distribuzione in dvd. Un vero capolavoro di insensatezza, messo nero su bianco e conservato nel Museo del Cinema, a futura memoria.Dopo le elezioni e il cambio di governo è cambiata anche la commissione e il film ha finalmente ottenuto il visto che lo ha portato in laguna e che lo traghetterà nelle sale iraniane in autunno. Sulla difficile situazione economica del Paese, invece, la regista si lancia in un accorato appello: «L’embargo, soprattutto quello delle medicine, ha pesantemente penalizzato il mio popolo, in particolare i tanti bambini malati di cancro e sclerosi. Quand’è che la comunità internazionale si accorgerà delle conseguenza delle proprie decisioni?».
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