mercoledì 7 maggio 2014
Il segretario della Cei al convegno organizzato dall’Unione Cattolica Stampa Italiana e da La Civiltà Cattolica. «Serve un sussulto di orgoglio che porti a riscoprire una presenza di lievito da parte dei credenti»
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Quella della comunicazione è una sfida essenzialmente umana. “La differenza non la fa la tecnologia – pur importante – ma l’antropologia”. Già nel primo minuto del suo intervento al convegno "La Rai dei cittadini. Il servizio pubblico per la qualità della comunicazione", monsignor Galantino ha dato una bella scossa alla platea del convegno organizzato dall’Unione Cattolica Stampa Italiana e da La Civiltà Cattolica, svoltosi oggi a Roma, presso la sede della rivista dei gesuiti.“Sappiamo quanto la buona informazione e la buona comunicazione siano essenziali a far crescere i singoli e l’intera comunità” ha esordito il segretario generale della Cei. “Siamo consapevoli come non sia la varietà delle opinioni a costituire un pericolo, bensì la mancanza di riflessione, di profondità, di rispetto e di altruismo”. Più volte Galantino ha citato il Papa e quanto da lui detto proprio all’incontro in aula Paolo VI con dirigenti e personale della Rai. Ma anche quello che Francesco ha detto lo scorso 22 marzo, ricevendo in udienza l’Associazione Corallo: «Per me i peccati dei media, i più grossi, sono quelli che vanno sulla strada della bugia e della menzogna, e sono tre: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Queste due ultime sono gravi!, ma non tanto pericolose come la prima». Perché, ha proseguito, «la disinformazione è dire la metà delle cose, quelle che sono per me più convenienti, e non dire l'altra metà». Seconda scossa alla platea. “Si aprono qui le possibilità per un esame di coscienza professionale, dal quale dovrebbe essere difficile potersi esimere” ha continuato Galantino. “Ora, se non spetta certamente alla Chiesa suggerire come vada gestita la RAI, credo comunque che la Chiesa possa ricordare che nel nostro Paese c’è ancora bisogno di un servizio pubblico che sia in grado di stimolare l’ambiente comunicativo, elevando la qualità dei modelli culturali che ci vengono offerti: è nell’interesse di tutti fare ogni sforzo per ricercare insieme, attraverso il confronto, i modi migliori per assicurare questo livello”. Non un discorso generico, ma preciso. Con una precisa raccomandazione: la Rai pensi ai giovani. Perché “sono le vittime principali della crisi contemporanea, che è crisi economica, ma anche e soprattutto crisi di valori e, in particolare, crisi di relazioni; nello stesso tempo, proprio i giovani sono risorsa che non possiamo permetterci il lusso di tenere in standby, continuando a considerarli “il futuro della società”. Quindi – ha continuato il segretario della Cei - occorre “farsi carico della trasmissione di un sistema credibile di valori, che possa essere intercettato e fatto proprio dai nostri giovani. E, su questo fronte, il sistema della comunicazione ha una responsabilità enorme, a partire dallo sguardo che propone sul mondo e sulla vita. I cattolici, a loro volta, quale ruolo sono chiamati a giocare in questa operazione, che in fondo è una forma di “educazione alla vita buona del Vangelo”? .Terza scossa. “Ricordando il ruolo dei cattolici nel tenere alta la qualità della comunicazione della RAI, vorrei soltanto invitarvi – con urgenza – a prendere le distanze e a scrollarvi di dosso una sorta di “sindrome dell’imbarazzo”, che troppo spesso sembra aver catturato alcune fasce del mondo credente e che porta ad avallare la dissociazione tra fede e cultura”. Serve, ha detto esplicitamente Galantino, un sussulto di orgoglio “che porti a riscoprire una presenza di lievito da parte dei credenti. Sarete lievito, se saprete spendervi e investire le vostre migliori energie per intessere relazioni vere e suscitare domande reali, più che pretendere di dispensare risposte frettolose e compiacenti. Sarete lievito, se con il vostro servizio, saprete aiutarci ad abitare in maniera critica questo nostro tempo, piuttosto che ridurvi a proporci modelli condivisi perché tristemente scontati nella loro ripetitività”. L’aria che respiriamo – anche col contributo dei media nel loro complesso – “sta determinando una nuova visione dell’uomo e della cultura, che ignora la dimensione interiore e trascendente della persona: sempre più l’identità si trasforma in maschera e l’interiorità rischia d’inaridirsi nel narcisismo e, quindi, nell’autoreferenzialità. Mi chiedo – e so che la domanda ci accomuna – se siamo costretti ad assistere rassegnati e impotenti a tale disgregazione o se, come credenti – e credenti impegnati nel mondo della comunicazione – non possediamo i mezzi per invertire la rotta”.Come? “Negli ultimi tempi concetti come “qualità, valore sociale, concorrenza creativa, diritto di cittadinanza, servizio pubblico universale” – di cui sin dagli esordi la radiotelevisione italiana aveva fatto il proprio marchio di fabbrica, prima di smarrirne in parte il senso – sono diventati i perni dell’autoriforma di uno dei più grandi poli mediali pubblici del mondo, la BBC”. Oltremanica, ha ricordato il segretario Cei, “non si pensa a importare format dall’estero, ma a produrre contenuti di elevata qualità disponibili universalmente per tutti i cittadini multipiattaforma digitale. E per definire la qualità è stata addirittura coniata, con precisione britannica, una definizione ad hoc: “La tv di qualità è fatta di idee innovative, con programmi che fanno riflettere, con alti standard di gusto e decenza e con un’elevata percentuale di programmi originali”.Poi, riallacciandosi all’udienza tenutasi nell’aula Paolo VI per festeggiare i 90 anni della radio ed i 60 della tv, ha richiamato le parole di papa Francesco:: «La qualità etica della comunicazione è frutto di coscienze attente, non superficiali, sempre rispettose delle persone, sia di quelle che sono oggetto di informazione, sia dei destinatari del messaggio. Ciascuno, nel proprio ruolo e con la propria responsabilità, è chiamato a vigilare per tenere alto il livello etico della comunicazione». Occorre, come ricordava il Papa “un rinnovato senso di responsabilità. La vostra professione, oltre che informativa, è formativa, è un servizio pubblico, cioè un servizio al bene comune».Il convegno, con il Segretario Generale, padre Antonio Spadaro, Direttore de La Civiltà Cattolica, e Luigi Gubitosi, Direttore Generale della Rai, ha visto anche una tavola rotonda, moderata dal giornalista Massimo Bernardini, alla quale hanno preso parte Andrea Melodia, Presidente dell’Ucsi, Giuseppe Roma, Direttore del Censis e Vittorio Di Trapani, Segretario dell’Usigrai.
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