venerdì 27 novembre 2015
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Due anni di “apnea', in cui, racconta il produttore Pietro Valsecchi, «mi svegliavo la notte per il panico». Sono quelli che, insieme ad un investimento di quindici milioni di dollari e una buona dose di coraggio, gli sono serviti a realizzare (con la sua Taodue) il film Chiamatemi Francesco, in 700 sale da giovedì 3 dicembre, distribuito da Medusa. Ad agitare i sonni di Valsecchi era una domanda ben precisa: «Mi chiedevo: “Chi sono io per fare un film su Bergoglio?”. Mi sono risposto che anch’io, come tutti, ero rimasto colpito da quel suo primo “Buonasera”, pronunciato dalla loggia della basilica di San Pietro il 13 marzo 2013 e che avevo voglia non solo di saperne di più su quell’uomo ma anche il dovere, in quanto produttore, di raccontarlo agli altri».  Ad affiancarlo ha chiamato il regista Daniele Luchetti che, insieme a lui, ha scelto i due protagonisti che nel film interpretano il futuro pontefice in due fasi differenti della sua vita: l’argentino Rodrigo de la Serna gli presta il volto dai 25 ai 60 anni mentre il cileno Sergio Hernández è prima l’arcivescovo e, poi, il cardinale Bergoglio fino al momento in cui il conclave lo elegge Papa. Produttore e regista sono volati a Buenos Aires dove, in seguito, è stata girata buon parte del film basato, spiega Luchetti, «più sulle testimonianze delle persone che lo hanno conosciuto che non sulle tante biografie che sono state scritte». La scelta è stata ben precisa fin da subito: «Non volevo fare un santino. Uno di quei film che ti dicono: “Visto? Già da allora si vedeva che sarebbe diventato Papa”, aggiunge il regista, che ha dedicato metà di Chiamatemi Francesco alle vicissitudini di Bergoglio e di tutti gli argentini nel periodo del- la terribile dittatura e alla coraggiosa attività dell’allora provinciale dei gesuiti in Argentina e rettore del Colegio Máximo a favore di coloro che erano perseguitati dal regime del generale Videla. C’è spazio anche per l’episodio dei due gesuiti Yorio e Jalics (rapiti e torturati dagli aguzzini di Videla per cinque mesi), chiamato in causa dai detrattori di Bergoglio pochi minuti dopo l’elezione per buttargli addosso l’ignobile e infondata accusa di avere fiancheggiato il regime e denunciato i due sacerdoti. Luchetti riprende: «Il mio compito non era raccontare agli argentini il loro passato. Però mi piacerebbe che, attraverso questo personaggio, i giovani si rendessero conto di come sia possibile un terrorismo di Stato e come, in nome della sicurezza, si sia potuto schiacciare un popolo».  Comprensibilmente ancora emozionati da un ruolo così importante i due attori ai quali è stato chiesto di somigliare a Bergoglio non tanto fisicamente quanto interiormente: «Non dovete somigliargli, dovete evocarlo», ha detto loro Luchetti. Entrambi concordano sul fatto che interpretare il Papa sia stato uno spartiacque umano e professionale: «È stata una responsabilità enorme avvicinarsi a lui negli anni più difficili del nostro Paese ma, soprattutto, avvicinarsi alla sua monumentale dimensione spirituale. Interpretandolo ho ritrovato un’intimità con me stesso che non avevo da tempo» racconta De la Serna. Hernández conferma: «Quando mi hanno offerto questo ruolo ho pensato che, prima di tutto, dovevo essere credibile. Perciò ho lasciato tutti gli altri lavori che stavo facendo e ho iniziato ad ascoltare i suoi discorsi, a guardare documentari. Sono entrato in una sorta di ritiro e ancora oggi faccio fatica a togliermi il personaggio da dosso. È l’unico dei tanti ruoli della mia carriera ad avermi cambiato interiormente ». È cambiato anche lo stato d’animo di Valsecchi che, dopo i timori, è stato confortato dal giudizio di monsignor Guillermo Karcher: «Ha visto il film e ha detto che è veritiero. Ho tirato un sospiro di sollievo ». Che è diventato soddisfazione quando ha saputo che la Santa Sede aveva organizzato, per martedì 1° dicembre, un’anteprima del film nell’Aula Paolo VI a favore di migliaia di senzatetto.
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