martedì 16 settembre 2014
​​La Cassazione gela le speranze di Comuni e contribuenti: nonostante la liberalizzazione i 13 euro al mese per chi ha un abbonamento si dovranno continuare a pagare.
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​Comuni e contribuenti devono rassegnarsi a continuare a pagare la tassa sull'abbonamento ai servizi di telefonia mobile: non riceveranno rimborsi nonostante il settore sia stato liberalizzato. Lo afferma la Cassazione aggiungendo - ed è questa la novità - che è stato corretto, e non costituisce "una interferenza dei poteri esecutivo e legislativo nell'amministrazione della giustizia", il decreto legge con il quale il governo è corso ai ripari sul rischio di restituzione della tassa per centinaia di milioni. Con questa decisione la Suprema Corte ha ulteriormente "blindato" la tassa governativa sui cellulari dopo aver preso atto della "permanenza" di questo balzello per effetto del decreto legge messo a punto dal governo proprio per scongiurare il rischio di dover ridare agli abbonatì quasi 13 euro mensili di tassa a decorrere dagli ultimi dieci anni.    Ad avviso dei supremi giudici - che hanno respinto il ricorso presentato dal Comune di Milano, uno dei big della rivolta degli enti locali che aveva messo in dubbio anche la legittimità del decreto - è, infatti, da "escludere l'ipotesi" che quanto stabilito dal provvedimento "abbia in effetti portata innovativa e non interpretativa e costituisca, quindi, una interferenza dei poteri esecutivo e legislativo nell'amministrazione della giustizia". Esclusa anche l'ipotesi di una disparità di trattamento - in violazione della Costituzione - tra cittadini che pagano la tassa perché abbonati, e quelli che comperano solo schede telefoniche prepagate e non la pagano. Secondo i supremi giudici, "la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento col gestore presenta caratteristiche giuridiche fattuali non sovrapponibili all'acquisto di un certo tempo di conversazione telefonica mediante ricarica di una carta prepagata". La differenza obiettiva tra le due situazioni - concludono gli "ermellini" - esclude l'irragionevolezza della diversità del relativo trattamento tributario".
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