martedì 26 gennaio 2016
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Non a caso era stato consulente per il celeberrimo film 2001 Odissea nello spazio. Marvin L. Minsky, scomparso domenica a 88 anni, era il “padre nobile” della ricerca sull’ intelligenza artificiale (IA). La sua idea chiave è racchiusa nel titolo del suo libro più famoso (tradotto in italiano da Adelphi): La società della mente, una brillante opera costruita come un mosaico di temi che trovano poi unità. Non siamo dotati, come esseri umani, di un unico processore centrale, per dirla con un’immagine tratta proprio dall’informatica, ma la nostra capacità di interagire in modi adeguati e creativi con il mondo discende dalla cooperazione (e a volte gli errori dalla mancata cooperazione) di moduli mentali/cerebrali indipendenti. Ma questi moduli non sono piccole menti, piuttosto ciascuno è “stupido” e capace solo di uno o pochi compiti, l’intelligenza emerge poi come risultato percepito all’esterno. Questa intuizione, che sta alla base anche dell’influente programma cognitivista in psicologia e filosofia, per Minsky deve guidare anche la costruzione di artefatti “intelligenti”. Che non possono mimare una mente umana la quale, a suo parere, non esiste come la concepiamo comunemente, bensì vanno costruiti secondo il principio di unire elementi diversi in grado di interagire. Il suo primo tentativo di costruire una macchina “intelligente” fu infatti realizzato con un braccio robotico, una video camera e un computer. Minsky, nato a New York, ha contribuito a rendere il Mit di Boston il centro della ricerca mondiale sull’IA. Tra le sue invenzioni, il microscopio confocale (che permette una migliore risoluzione) e varie componenti robotiche. Instancabile nel suo tentativo di rendere le macchine sempre più vicine all’uomo per loro prestazioni nella vita quotidiana, non nascose mai la sua professione di ateismo.
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