martedì 20 ottobre 2015
​La proteina denominata MKK7 ha un ruolo importante nel determinare la morte dei neuroni a seguito di un attacco ischemico cerebrale. Dopo la scoperta si lavora per passare alla sperimentazione clinica.
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Il cervello, come ogni altro organo del corpo umano, ha bisogno di nutrimento e ossigeno per funzionare. Tali sostanze vengono trasportate attraverso i vasi sanguigni e, quando il flusso sanguigno diretto al cervello è bloccato, si verifica un'ischemia cerebrale. Questa genera la progressiva morte dei neuroni. La proteina denominata MKK7 ha un ruolo importante nel determinare la morte dei neuroni a seguito di un attacco ischemico cerebrale. Un gruppo di ricercatori diretti da Tiziana Borsello dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri / Dipartimento di farmacologia e scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il team di ricerca guidato da Alessandro Vercelli direttore del NICO, Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi - Università degli Studi di Torino, ha sintetizzato un inibitore specifico, denominato GADD45Beta, della proteina MKK7. Grazie a GADD45Beta, il cui effetto protettivo funziona anche sei ore dopo l’infarto cerebrale, il danno può essere ridotto del 50%. Attualmente non ci sono trattamenti farmacologici approvati per il trattamento dell’ictus ad eccezione dell’Attivatore tissutale del plasminogeno (rT-PA) che ha caratteristiche che ne limitano l’efficacia, quindi il nuovo composto rappresenta una buon risultato ed è importante sottolineare che anche 6 ore dopo l’infarto protegge sempre il danno al 50%” – commenta Tiziana Borsello, Responsabile del Laboratorio di Morte Neuronale e Neuroprotezione dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Con le dovute verifiche, passando per la sperimentazione clinica – conclude Alessandro Vercelli direttore del NICO, Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino – questa potrebbe rappresentare una prospettiva nuova, in grado di ridurre significativamente i volumi d'infarto cerebrale e di conseguenza anche i deficit, con maggiori possibilità di recupero”.
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