sabato 29 agosto 2015
​Perché la guerra nello spazio è più vicina di quanto si pensi. di Francesco Palmas
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​È una sfida fra titani. In ballo c’è il controllo del cosmo. Con un corollario imprescindibile: garantirsi la supremazia nelle operazioni militari del futuro, ben oltre il 21° secolo. A condurre la partita sono Stati Uniti, Russia e Cina. Con soldi, tanti, ricerche d’avanguardia e segnali crescenti di tensione. Altri attori emergono, ancora lontani. Sono giorni storici, gli attuali. Ci appassionano le esplorazioni civili, la saga di Plutone e l’esegesi dello spazio. Ma i vertici militari delle grandi potenze stanno già conducendo, di soppiatto, una battaglia rivoluzionaria per la space dominance. Dimentichiamoci il passato. Per millenni, il potere marittimo è stato il nerbo della potenza di una nazione. Continua in parte ad esserlo, perché l’indipendenza, la proiezione, il benessere, i commerci e gli scambi di una nazione hanno tuttora una forte impronta talasso-centrica. Ma è nel potere aerospaziale la brama dei grandi e la via maestra al dominio planetario. Intervenendo alla Rice University, John Fitzgerald Kennedy mostrò di avere già compreso la posta in gioco: «Solo l’uomo potrà decidere se questo nuovo oceano che ci attende sarà un luogo di pace o un nuovo terrificante teatro di Guerra».
Era il 1962. Difficile dire che cosa accadrà. Sappiamo per certo che la militarizzazione dello spazio è iniziata con la sfida dell’esplorazione d’antan, ha proceduto motu proprio, e si è galvanizzata negli anni della Guerra Fredda. Oggi si sta nuovamente polarizzando. La partita militare si gioca nello spazio terrestre, entro l’orbita geostazionaria dei 36mila km. Con tanti campi di battaglia potenziali, rinvenibili a varie quote. Le orbite basse sono il regno dei satelliti di osservazione, quelle medie ospitano i sistemi di posizionamento e navigazione come il Gps, mentre a 36mila km ritrovi i satelliti per le telecomunicazioni e l’osservazione polare. Tutti ne dipendiamo. Garantiamone la libertà e l’invulnerabilità perpetua, se possibile. Pensate, gran parte dei sistemi informatici delle banche, delle multinazionali, delle compagnie aeree, dei vettori di trasporto marittimo e ferroviario usano il segnale Gps per i loro riferimenti spazio-temporali. Per non parlare dei network d’informazione, oggi cruciali, e sempre più capillari grazie ai satelliti di telecomunicazione. Gli americani stanno prendendo la faccenda molto sul serio. Per parare la crescente minaccia russo-cinese, hanno in animo di creare nel prossimo semestre un meta-centro operativo, in cui sviluppare piani di guerra e far confluire i dati provenienti dalla costellazione satellitare in mano alle diverse agenzie governative. Ad annunciarlo è stato il vice-segretario alla Difesa, Robert Work, poco tempo fa, durante il simposio Geoint, una conferenza d’intelligence annuale patrocinata dalla Us Geospatial Intelligence Foundation. Un tempo «santuario virtuale, lo spazio deve essere ormai considerato un’arena sempre più concorrenziale e conflittuale, in termini inauditi prima», ribadisce al telefono Work.
Che cosa sta succedendo? La Russia sta rialzando la testa. Entro il 2016, l’Aeronautica militare e le Forze di difesa aerospaziale confluiranno in un nuovo comando. E si stanno già attrezzando per forgiare un sistema specifico terra-spazio dedicato esclusivamente allo spionaggio. Con un’incognita terribile: che ruolo dedicare alla guerra nello spazio e quali armi offensive e difensive studiare? I programmi sono segreti, ovvio. Ma qualcosa è filtrato. Dal 2004, l’agenzia spaziale Roskosmos è divenuta una holding di stato, o, se volete, un consorzio di imprese spaziali capeggiato da ex comandanti rigorosamente filo-putiniani delle Forze Spaziali Militari (VKO). Nuovi cosmodromi rimpiazzeranno Baikonur, nel nordovest russo e in Siberia, dove sorgerà la futura base di Vostotchny. Il generale Oleg Ostapenko era stato molto esplicito prima di prendere le redini di Roskosmos: «Mosca potrebbe riesumare il programma d’epoca sovietica Istrebitel Sputnikov (distruttore di satelliti), se le relazioni con Washington continueranno a deteriorarsi». Forse quella di Vienna sarà solo una parentesi distensiva in un turbinio di tensioni multiple. E i russi potrebbero presto riavviare le ricerche in materia di satelliti killer. Per ora si accontentano di una nuova superarma, il velivolo ipersonico Yu-71. L’hanno testato già quattro volte. L’ultima a giugno. Tutto è iniziato a bordo di un missile balistico intercontinentale, sparato dalle forze strategiche del distretto di Dombarov. Da qui al 2025, il reparto riceverà 24 velivoli ipersonici da montare molto probabilmente sui nuovi missili Sarmat, in costruzione. È un fervere continuo di progetti.
Il binomio Sarmat-Yu-71 dovrebbe permettere al Cremlino un balzo enorme nell’aggiramento delle difese anti-missilistiche statunitensi. Trasporterà armi nucleari alla velocità di 11.200 km l’ora, dieci volte più rapida del suono. Gli insegnamenti serviranno anche a perfezionare il futuro bombardiere strategico e l’avveniristico Mig-41. C’è una vera e propria corsa all’ipersonico, che rischia di forzare le spese militari. La Cina ha sperimentato il suo veicolo termonucleare Wu-14 almeno quattro volte dal gennaio 2014 ad oggi. Con le stesse finalità dei russi: aggirare lo scudo antibalistico americano. Ovviamente Washington è già leader nella gara ai missili e ai vettori ipersonici. L’agenzia di ricerca del Pentagono è in pieno fermento. Ai primi di agosto ha assegnato altri 6,5 milioni di dollari a Northrop Grumman. Il colosso dell’aerospazio mondiale è coinvolto con Boeing e Masten Space Systems nel programma Xs-1. L’obiettivo è sviluppare una navetta spaziale senza pilota, tanto veloce quanto economica. Non più di 5 milioni di dollari a lancio. La Darpa la vorrebbe 10 volte più veloce del suono, per volare quotidianamente una decina di giorni di seguito. L’Xs-1 farebbe al suo caso: dovrebbe rilasciare minisatelliti nelle orbite basse, per poi rientrare sulla terra, ancora utilizzabile.
Diversamente dalle altre navicelle, l’XS-1 non sarebbe gestita dalla Nasa bensì dall’aviazione militare, perché gli americani stanno studiando una via rapida per lanciare satelliti di emergenza in caso di accecamento dei sistemi principali. Dominano lo spazio. Ma Pechino ha più assi nella manica, molti asimmetrici. I suoi satelliti, che siano per le telecomunicazioni, l’osservazione della terra e la navigazione, celano quasi sempre obiettivi di ricerca e finalità militari. Nonostante alcune battute d’arresto, i sensori cinesi forniscono oggi capacità sempre più sofisticate nell’ambito della sorveglianza e dell’assistenza alla navigazione, garantendo un quis pluris alle capacità militari autoctone. Pur non raggiungendo gli standard americani, sono più che sufficienti per la maggior parte degli scopi militari: spiare, guidare le truppe e dirigere le armi semi-intelligenti. La Cina sa di avere un gap enorme con gli americani, ma sta affilando la sarissa, anche in altri segmenti della militarizzazione dello spazio. Il test antisatellite del gennaio 2007 la dice lunga sulle vere ambizioni di Pechino. Diversi rapporti dell’intelligence statunitense sottolineano che dopo gli svariati test ai livelli orbitali inferiori, Pechino avrebbe ormai acquisito la capacità di distruggere satelliti in orbita alta, dove si trovano i sistemi di intelligence e di comunicazione militari, al 90% americani. E avrebbe allo studio nuove armi anti-satellite più difficili da individuare, dai disturbatori laser terrestri agli impulsi elettromagnetici emessi da un satellite per disabilitare un altro. Ha già sperimentato in orbita bassa la manovra di due satelliti molto prossimi fra loro e potrebbe replicare il test in orbita alta, simulando delle funzionalità di attacco per scopi distruttivi. Non c’è pace, purtroppo. Neanche nello spazio.
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