venerdì 25 luglio 2014
Riforme, la maggioranza stringe: voto al Senato entro l’8 agosto. Boschi: il referendum ci sarà comunque, ai cittadini l’ultima parola.
Renzi: «Non mollo, basta a chi dice solo no»
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Giacca rossa, pantaloni beige, Maria Elena Boschi percorre a passo svelto un lungo corridoio del primo piano di Palazzo Madama. Il ministro delle Riforme si avvicina alla conferenza dei capigruppo delle 15 e 15 con lo sguardo determinato, tipico di una persona pronta a ricorrere anche alle maniere forti pur di centrare l’obiettivo: l’approvazione in prima lettura del suo ddl costituzionale non deve slittare a dopo l’estate. Lo stallo, ormai, continua da troppi giorni. Il nodo principale era, resta e resterà l’elettività del Senato. La lunga mattinata convulsa conferma che non ci sono molte alternative se si vuole superare rapidamente l’impasse. Dopo un’ora di riunione pomeridiana, in cui permane il muro contro muro, la decisione più drastica diventa ufficiale: sì al contingentamento dei tempi del dibattito in Aula e voto in prima lettura sul testo entro l’8 agosto. Insomma, si opta per la cosiddetta "tagliola" per spazzare via il pantano costruito su quasi 8mila emendamenti. La furibonda reazione delle opposizioni è istantanea: dalla Lega a M5S, passando per Sel e i ribelli di Forza Italia, si denuncia «una ferita grave alla democrazia». Il capogruppo del Carroccio, Gianmarco Centinaio, annuncia la salita al Colle: «Dopo il voto sul calendario andremo dal capo dello Stato perché il presidente del Consiglio non rappresenta più nessuno». La forma di protesta radicale viene sposata a stretto giro dai Cinque Stelle: «Anche noi ci apprestiamo a marciare verso il Quirinale», afferma Vito Petrocelli. Il ministro Boschi difende la scelta obbligata dell’esecutivo e assicura che il giudizio finale lo esprimerà la popolazione. «L’ultima parola sulle riforme sarà dei cittadini: referendum comunque e basta alibi», scrive su Twitter. Si ritorna in Aula e il clima si fa sempre più incandescente. Il presidente Pietro Grasso prova a placare gli animi, ma è un’impresa impossibile. Il leghista Sergio Divina comincia ad agitare la Costituzione: «Ne fate carta straccia, ne fate carta straccia», ripete due volte sgolandosi. A contribuire alla bagarre ci pensano i senatori grillini Santangelo e Moronesi, più volte richiamati all’ordine dalla seconda carica dello Stato. Volano offese e insulti. La situazione diventa quasi ingestibile. Nicola Morra (M5S) azzarda un paragone decisamente inopportuno: «Renzi pensa che il Senato sia come Gaza». Alle fine, persino il sempre pacato Luigi Zanda perde la pazienza. «Si è arrivati al contingentamento per colpa dell’ostruzionismo di chi non ha voluto ritirare gli emendamenti nonostante i sei appelli a discutere - sbotta il capogruppo del Pd durante il suo intervento -. Ho sentito espressioni luride che sono, queste sì, un’offesa alla democrazia e alla popolazione che sta soffrendo. E’ una vergogna. Mi ribello».Nel frattempo, i contrari alla riforma - dopo essersi radunati già verso ora di pranzo nell’aula della Commissione Difesa per studiare una strategia unitaria - si organizzano per fare fronte comune. I senatori pentastellati chiamano a raccolta i loro colleghi alla Camera e li invitano ad abbandonare l’Aula di Montecitorio: «Venite davanti a Palazzo Madama che andiamo a manifestare da Napolitano».Detto, fatto. Alle 18 e 30 parte un corteo diretto al Quirinale, con oltre 100 parlamentari di M5S, Sel, Lega e ribelli di Forza Italia. Giunti a destinazione, va in scena un sit-in. Alcuni Cinque Stelle, con fascia tricolore al braccio, si siedono in piazza. A una delegazione composta dai capigruppo dei partiti manifestanti viene consentito l’accesso al Quirinale. A incontrarli è il segretario generale, Donato Marra, a nome del presidente Napolitano, «assente perché indisposto». Marra li ascolta e poi informa il Capo dello Stato delle questioni sollevate.E’ l’epilogo di un giovedì segnato fin dalle prime ore del mattino da un clima ad alta tensione. I dissidenti sono delusi: «A questo punto, meglio abolire il Senato», sostiene l’azzurro Augusto Minzolini. E Mario Mauro è d’accordo: «Schifezza per schifezza, tanto vale eliminarlo». Tra il serio e il faceto, l’ex M5S Luis Orellana arriva a proporre di trasformare Palazzo Madama in un museo: «È in una posizione strategica, tra Piazza Navona e il Pantheon, sarebbe preso d’assalto ogni giorno da migliaia di turisti».
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