sabato 2 novembre 2013
​Letta "proroga" a dicembre la scadenza per la legge sul finanziamento. «Insieme alla riforma elettorale, è l’unico vero antidoto ai populismi».
Bianconi (Pdl): «Ma così non si risparmia»
Misiani (Pd): «Terza via da sperimentare»
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Enrico Letta lo considera «un antidoto ai populismi»: insieme con la modifica della legge elettorale, «l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti» è un punto d’onore, per l’esecutivo, che ha dato al Parlamento una scadenza per abolire la contestata legge. Tempo massimo: ottobre. Il governo aveva presentato un suo progetto con il ministro Gaetano Quagliariello, ampiamente modificato dalla Camera, progetto che dal 16 ottobre è passato a Palazzo Madama. Per ora i senatori non lo hanno ancora messo in moto, ma per il premier il fatto che il ddl abbia già completato una prima lettura può essere motivo sufficiente per non "imporsi" con la fase due del decreto legge, a suo tempo utilizzato come strumento di pressione sui partiti per fare in fretta. Letta concede dunque una proroga fino a dicembre. Di certo il testo continua a incontrare ostilità e avversione – spesso anche mascherate – da parte di chi finora su quei fondi ha fatto affidamento. Ma è ormai opinione diffusa che il sistema del reperimento e la struttura stessa dei partiti vadano ripensati, specie in tempo di crisi.Di fatto, la legge approdata al Senato, è frutto di un compromesso tra chi avrebbe conservato il sistema vigente, con qualche modifica di facciata , e chi lo avrebbe abolito tout court, per lasciare nelle mani degli elettori le sorti della politica organizzata. E, in ogni caso, la politica si è cautelata sul piano fiscale, conservando un diverso (e migliore) trattamento per chi si impegna a sostenerla con le donazioni rispetto anche, ad esempio, a chi, con il 5 per mille, opta per la lotta al cancro. La soglia delle detrazioni sui soldi dati ai partiti (che sono sì un beneficio per il cittadino, ma in questo caso collegato a un evidente favore per la politica) sarà del 37% per chi versa tra i 30 euro e i 20 mila euro, e del 26% fino ai 70mila. Per le Onlus, invece, lo sgravio è ridotto al 26% su una somma non superiore ai 2.065,83 euro. Per capire meglio, su una uguale somma (20mila euro), chi la dona ai partiti recupera 7.400 euro, chi lo fa con una Onlus appena 537.Sul finanziamento, l’aula di Montecitorio si è divisa in modo trasversale, anche se contro il provvedimento finale si sono espressi solo i Cinque Stelle e Sel. L’accordo faticosamente raggiunto è stato digerito dai renziani del Pd, partiti con l’idea di abolire definitivamente il contributo pubblico, con un ddl a firma Nardella-Boschi. E il ministro Quagliariello ha convinto il suo partito, dove il tesoriere Bianconi avrebbe preferito mantenere lo status quo.Se dunque l’impianto non verrà modificato, il finanziamento pubblico resterà, ma da diretto diviene indiretto e la parola spetterà ai contribuenti, che potranno destinare il 2 per mille delle dichiarazioni dei redditi al partito prescelto, e usufruiranno di detrazioni fiscali, in proporzione alle donazioni.«La scelta diventa quella del cittadino», spiega Maria Elena Boschi: «Se per assurdo nessuno versasse il 2 per mille, i partiti avrebbero zero euro». Il fatto poi, di aver inserito il tetto alle donazioni, per l’altro renziano Dario Nardella, «è una delle nostre vittorie». Insomma, dice l’ala che fa capo al rottamatore, «la legge finisce per imporre ai partiti anche più riluttanti un ripensamento, che prevede un risparmio dei costi». E in un periodo di crisi generale come quello attuale «bisognava dare un segnale di sobrietà», per Boschi, anche per «riavvicinare i cittadini alla politica». Quanto ai rischi paventati dall’area non renziana del partito di licenziamenti di massa, gli uomini del sindaco di Firenze smentiscono. «Nel partito un milione e mezzo di euro l’anno vanno in spese per rimborsi alberghieri e ristoranti. Sono questi i tagli a cui pensiamo». Quanto al partito leggero che piace a Renzi, Nardella spiega che si tratta di una redistribuzione delle forze. «Attualmente il Pd ha una testa gigante a Roma con un apparato burocratico elefantiaco, e un partito periferico leggero, dove i circoli faticano a tenere aperte le sezioni. Noi vorremmo solo riequilibrarlo».Ma anche per il partito leggero voluto dal Cavaliere il discorso appare molto delicato. Il finanziamento pubblico, per una parte del Pdl, è la garanzia per far lavorare la macchina, che ha il suo cuore e la sua testa a Roma. Per contro, il discorso renziano non regge in via dell’Umiltà o a Piazza in Lucina, visto che la scarsa organizzazione sul territorio mette a rischio il coinvolgimento diretto dell’elettorato. «L’80-90 per cento dei partiti dipende dal finanziamento pubblico», fanno notare. E i soldi versati dagli iscritti non coprono che il dieci per cento delle esigenze del partito.
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