martedì 12 marzo 2013
​Dopo il vertice di partito il colpo di mano di deputati e senatori. Il clima resta teso alla vigilia dell'incontro con i vertici del partito con il presidente Napolitano. Berlusconi resta ricoverato al San Raffaele e si sfoga: non aspetterò la crocifissione
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​«Vorrei solo essere trattato solo come un imputato normale....». Berlusconi abbassa la voce. «...E invece vedo una disperata rincorsa a cercare una condanna... non aspetterò la crocifissione». Nella stanza del San Raffaele Silvio Berlusconi ammette di sentirsi «accerchiato». E torna ad azzardare un paragone con Bettino Craxi. «... Ma non farò la sua fine. Lui fu lasciato solo, io sono un leader di un popolo e di un gruppo parlamentare che è al mio fianco». In quelle ore il Pdl ha deciso che la «magistratura ha passato il segno». Che la «democrazia non è garantita». Che è il «momento di reagire, non più di subire passivamente». La scelta è netta. Alle 12 e 30 Angelino Alfano e i big del partito lasciano la sede di viale Monza diretti al tribunale. Alle 14 sono tutti davanti alla procura. Si guardano. Si interrogano. Sono centocinquanta, molti capendo già domenica come sarebbe andata a finire si sono mossi da tutta Italia per farsi trovare pronti alla “conta”, al momento buono. Si vedono Renato Brunetta e Daniela Santanchè, Mariastella Gelmini e Maurizio Lupi, l’ex governatore Giancarlo Galan e gli ex “responsabili” Domenico Scilipoti e Antonio Razzi. I telefonini sono accessi e ognuno chiama al San Raffaele, per sapere delle condizioni di Silvio. «Come sta?», le fonti lo descrivono «incredulo» e lui non nasconde le sue emozioni: «Sono triste». La pressione è “ballerina”: 200 la massina, 100 la minima. Loro invece sono tutti in piedi sulle scalinate che portano all’ingresso della procura. Sulla loro testa c’è una gigantografia che ricorda i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. La gente guarda. C’è curiosità. Ma anche vicinanza politica. Qualcuno incoraggia il gruppone di deputati e senatori pidiellini inneggiando a Berlusconi. Qualcuno li attacca: «Basta, andate a lavorare».Passano i minuti. Le truppe di Berlusconi entrano nell’edificio. Si fermano, quasi simbolicamente, proprio davanti all’Aula del processo Ruby. È un ripiego o meglio solo una delle due tappe previste, l’idea era un sit in davanti all’ufficio del capo della procura di Milano, Edmondo Bruti Liberati.Alfano evoca “l’Aventino” per lui e per tutto il partito almeno per le prime sedute del Parlamento, in segno di protesta contro i pm, poi attacca la magistratura e promette che la cosa «non finisce qui», perché la vicenda finirà da Napolitano.E che il clima fosse da resa dei conti si era intuito fin dal mattino al vertice pidiellino. Il motivo del colpo di mano? Erano arrivate notizie, spiega Alfano, di «tre fatti gravissimi». L’ex ministro della Giustizia li elenca: la mancata concessione del legittimo impedimento ai parlamentari e avvocati di Berlusconi Piero Longo e Niccolò Ghedini per partecipare alla riunione della mattinata, la visita fiscale a Silvio Berlusconi, la notizia della richiesta di giudizio immediato da Napoli sulla presunta compravendita dei senatori. Da qui la decisione, che Berlusconi avrebbe in qualche modo osteggiato: «Non aggraviamo la situazione...».Il segretario Pdl dall’ingresso del tribunale chiede l’intervento di Napolitano e assicura che nelle mani del capo dello Stato già oggi potrebbe consegnare un ricco dossier su quanto fatto da alcuni magistrati. «Noi abbiamo un interlocutore di cui ci fidiamo – dice ancora, che è il presidente della Repubblica e del Csm, Napolitano a cui affidiamo la nostra preoccupazione per questa emergenza democratica». Ma il ping pong tra Procura, dove ci sono i parlamentari Pdl e il San Raffaele dove è ricoverato il Cavaliere è continuo, tanto che dopo la manifestazione, il segretario Pdl si reca in visita in ospedale. «Non è stato in grado di riceverci – rivela Alfano – Il nostro attestato di affetto e di solidarietà gli giungerà attraverso i medici». In serata l’offensiva del Pdl si posta sul Web. Dal profilo Twitter del partito i “cinguettii” di approvazione per la manifestazione si sprecano. Ma al Pdl risponde il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli: «Il fine della magistratura non è politico, la legittimazione della magistratura non si fonda sul consenso ma sulla sua professionalità e credibilità che derivano dal rispetto della legge».
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