giovedì 24 aprile 2014
Sì alla fiducia. Possibile bis oggi al Senato. Ma per Alfano «il governo non rischia».
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Mancano pochi minuti alle 16. L’aula della Camera si appresta a votare la fiducia al decreto lavoro. Giuliano Poletti si concede una pausa dopo 48 ore intense, burrascose, vissute in un clima di alta tensione. «Direi che ci siamo, se non ero pessimista ieri figuriamoci adesso – confida il ministro, seduto su un divanetto di Montecitorio –. Al Senato non mi aspetto grossi cambiamenti: la sostanza del provvedimento resterà immutata e credo proprio che verrà convertito in tempo utile».

Il volto del ministro è decisamente più rilassato rispetto al giorno prima, quando il vertice di maggioranza si era chiuso con un "no" alla sua proposta di mediazione e una netta divisione tra Pd e Ncd. A rassicurarlo non è soltanto il via libera - scontato - del primo ramo del Parlamento (344 voti favorevoli, 184 i contrari). Il miglioramento dell’umore del ministro è dovuto soprattutto alle parole "dolci" e di apertura pronunciate da Angelino Alfano. «Il governo non corre rischi – assicura in tarda mattinata il leader del Nuovo centro destra in merito al passaggio al Senato del testo –. L’esecutivo sta vivendo una grande luna di miele con il Paese e stiamo lavorando per il cambiamento. Vogliamo accelerare».

E proprio quest’ultimo termine - «accelerare» -, utilizzato da Alfano, aumenta le possibilità che l’esecutivo possa mettere la fiducia anche a Palazzo Madama. «È un’ipotesi molto concreta – evidenzia un parlamentare renziano in Transatlantico –, anche perché il decreto scade il 20 maggio e potrebbero non esserci i tempi tecnici per apportare cambiamenti e poi tornare alla Camera». Del resto, le modifiche richieste da Ncd e Scelta civica non stravolgerebbero il documento: «Se ne può discutere, ma si tratta davvero di elementi marginali», sottolinea il sottosegretario Luigi Bobba.

Nonostante la schiarita, però, i malumori restano. Soprattutto all’interno degli alfaniani. Maurizio Sacconi, ad esempio, insiste sulla necessità di correggere solo alcuni punti. «L’esame dei dettagli non è certo secondario, perché anche uno solo potrebbe fare la differenza tra un apprendista e un disoccupato – puntualizza il presidente della commissione alla Camera alta –. Ci sarà una seconda lettura approfondita, ma sarà mia cura garantire che i lavori si svolgano in tempi utili per la conversione». Promette battaglia pure Beatrice Lorenzin: «Cambieremo il decreto al Senato, riportandolo vicino alla versione originale». Il modus operandi dell’esecutivo, invece, non viene digerito a cuor leggero da Sc. «Non dovevano costringerci a votare la fiducia sulla vita del governo, soprattutto perché si trattava della prima vera riforma – protesta Andrea Romano –. È un fallimento politico».

Al di là dei mal di pancia, comunque, la bufera sembra essere passata. La sensazione è che, in un modo o nell’altro, si arriverà a un’intesa. Ed è probabile che alla fine le modifiche si limitino alle semplificazioni sulla percentuale dei contratti a termine e sull’apprendistato (volute da Ncd) e al rafforzamento delle regole per adottare il contratto a tutele crescenti (richiesto da Sc).

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